Nella nostra traduzione da Atlantico.fr, una nuova interessante analisi del saggista e politologo italo-francese Alexandre Del Valle che alterna elementi storico-politici a dinamiche socio-psicologiche, da non disattendere anche da parte di chi, come noi, scruta la realtà prevalentemente attraverso l'orizzonte di fede ma, come cittadino, deve conoscere le vicende della polis, per parteciparvi quanto possibile piuttosto che assistervi impotente. E lo fa con uno sguardo allargato anche a idee e movimenti che si sviluppano oltre-confine.
Del Valle riprende i temi legati all’identità, alla globalizzazione e alla sovranità, che si sono già rivelati centrali nel contesto della pre-campagna presidenziale francese [e non solo: riguardano anche la nostra realtà e quella più ampia di tutto l'Occidente -ndr]. A suo modo di vedere, in quest’ambito il vero spartiacque in realtà non è più quello che contrappone destra e sinistra bensì quello che distingue da una parte i “patrioti”, sostenitori di una rinascita della sovranità degli Stati-nazione occidentali nel quadro di un’autentica politica culturale, dall’altra i difensori dell’ideologia globalista e della decostruzione promosse dalle élite globalizzate, che egli definisce “post-democratiche”. Sul tema, sto leggendo il suo ultimo libro, che dovrebbe essere edito anche in italiano: La mondialisation dangereuse: Vers le déclassement de l'occident. (M.G.)
Il vero spartiacque politico non è quello tra destra e sinistra
bensì tra mondialismo e sovranismo
bensì tra mondialismo e sovranismo
Identità, globalizzazione e sovranità sono temi che si sono già rivelati
centrali nell’ambito della pre-campagna presidenziale francese. Il vero
spartiacque in realtà non è più quello che contrappone destra e sinistra
bensì quello che distingue da una parte i “patrioti”, dall’altra i difensori
dell’ideologia della decostruzione.
Trent’anni dopo il suo apogeo, raggiunto in seguito alla caduta dell’Unione Sovietica e
all’apertura dell’Asia alle multinazionali occidentali, l’ideologia della “globalizzazione felice” — un’interpretazione ingenua di quella che è in realtà la globalizzazione
mercantilista che permette alle nostre élite di imporre l’ideologia della decostruzione e
dello smantellamento delle sovranità nazionali — comincia ad essere messa seriamente
in questione. Innanzitutto, al di fuori dell’Occidente quasi tutti gli Stati sono identitari e
molto nazionalisti. Poi, le nostre stesse società occidentali sono sempre più divise al loro
interno dall’antagonismo tra “patrioti e worldizzati” (dixit Trump), o meglio, tra
“sovranisti e globalisti”. La tesi “anti-sovranista” (avanzata tra gli altri da intellettuali
come Bertrand Badie in Francia), secondo la quale lo Stato dovrebbe essere declassato al
suo antico ruolo di gestore di primo piano delle relazioni internazionali a beneficio di
organizzazioni internazionali, multinazionali e di aziende digitali che annunceranno
l’avvento del capitalismo “uberizzato” [1] apolide (ciò che Benjamin Barber definisce
“McWorld”), viene quotidianamente smentita dai fatti. L’ascesa di paesi emergenti, tutti
ultranazionalisti e ostili all’ideologia “woke”, [2] libertaria e cosmopolita, sta forgiando
un mondo sempre più policentrico. Tale multipolarità mette profondamente in
discussione tanto l’egemonia occidentale-americana come l’ideologia della
decostruzione dei valori e delle sovranità avanzata dal “McWorld”. Ovunque, dall’India
alla Turchia passando per la Russia, la Cina, il Brasile o la Malesia, regimi
nazional-identitari sono entrati di prepotenza nel contesto della globalizzazione per
lanciarsi alla conquista del mondo o di zone di influenza, senza aderire minimamente
all’interpretazione globalista, libertaria e “woke” patrocinata dal “McWorld” occidentale.
Anzi, tale ideologia liberista e libertaria viene percepita come un pericolo esistenziale
per i loro modelli culturali e religiosi e per le loro sovranità. Alla guida di questo gruppo
di contestatori, la Cina confuciano-maoista e nazionalista ha fatto il suo ingresso
all’interno della globalizzazione solamente per incrementare la sua prosperità e il suo
potere, denunciando però senza mezzi termini la doxa globalista e libertaria dell’impero
occidentale. Xi Jinping vede nella globalizzazione esclusivamente un terreno di spietata
competizione economica in cui poter proiettare il potere del suo paese che si prepara a
dominare il mondo e che tiene in ostaggio l’Occidente essendo il suo fornitore di beni,
servizi e materie prime essenziali (terre rare, etc.). La delocalizzazione e la
deindustrializzazione massicce, volute dall’avidità delle multinazionali, si ritorcono in
modo fatale contro il potere dell’Occidente. La globalizzazione mercantilista moderna,
lanciata negli anni Ottanta e accelerata negli anni Novanta con l’apertura di mercati nei
paesi satelliti dell’ex-Unione Sovietica, dell’India e della Cina, non è più anglosassone
ma multipolare, non rima più con la parola globalismo bensì con Realpolitik.
L’Europa, zimbello della globalizzazione mercantilista
All’interno del Vecchio Continente, il progetto europeista ha perso quasi tutta la sua
legittimità, e l’europeismo anti-sovranista — che vuole imporre il suo moralismo
“dirittidelluomista” e woke e il suo multiculturalismo — viene ormai percepito come la
variante di un processo di “desovranizzazione”, come il laboratorio del “Villaggio
Globale”. Inoltre, l’Europa continua ad essere una zona d’espansione dell’impero
americano, delle sue “applicazioni”, del suo potere morbido (Hollywood) e duro
(NATO), nonché delle sue multinazionali “McWorld”… I popoli dell’Unione Europea,
che si preoccupano di far sopravvivere la loro cultura e le loro nazioni, hanno capito che
l’Europa sovranazionale è un non-Potere volontario, che non solo non protegge né loro
né le loro culture, ma che al contrario li trasforma nei porcellini d’India del globalismo e,
in fin dei conti, negli zimbelli della farsa del globalismo e della sua fallace
interpretazione utopicamente cosmopolita.
Originariamente, prima di andare alla deriva trasformandosi in una macchina
normativa distruttrice delle sovranità, l’Europa era stata concepita dal banchiere e
agente americano Jean Monnet come futura zona d’espansione del potere statunitense
in Eurasia, la cui vocazione sarebbe stata quella di bloccare l’avanzata dell’entroterra
russo verso l’Occidente e i “Mari Caldi”, e dunque di rendere perenne la scissione del
continente europeo in due zone, a beneficio del potere marittimo americano e
anglosassone in generale. Il recente caso dei contratti di sottomarini francesi la cui
esportazione in Australia è stata bloccata dopo che i nostri [francesi, N.d.T.] interessi
sono stati minati dai nostri “alleati” angloamericani è figlio sia di questo paradigma di
impero marittimo anglosassone che della nuova doppia guerra fredda tra l’impero
declinante statunitense e il tandem russo-cinese, all’interno della quale la Vecchia
Europa privata di sovranità rimane chiusa a tenaglia e la Francia è considerata una
guastafeste…
I popoli occidentali di fronte all’impero planetario McWorld
Il mandato del “patriota” Donald Trump, abilmente colmato di ostacoli dalle forze
globaliste, antirusse, multiculturaliste, tanto democratiche come neo-conservatrici,
vincolate al Deep State americano e al McWorld, ha dimostrato che il globalismo
anti-identitario dell’impero mercantilista concepito dagli Stati Uniti è sfuggito di mano,
come un Golem, persino al suo creatore, e si è ritorto contro lo stesso popolo americano
oltre che contro l’insieme delle nazioni occidentali, le quali sono oggi tutte piagate dalla
doxa anti-identitaria che era stata concepita originariamente al fine di mascherare e
giustificare moralmente i piani di conquista planetaria degli Stati Uniti e delle loro
multinazionali ma che è poi divenuta un’ideologia di decostruzione e quindi di anomia e
di acculturazione[3]. Come si osserva quotidianamente, l’ideologia globalista elaborata
dall’impero americano di cui la cancel culture, il Black Lives Matter e il “wokismo” sono
gli ultimi avatar e una conseguenza logica del politicamente corretto, stanno distruggendo
dal suo interno — per mezzo del multiculturalismo, del pentimento etno-masochista [qui - qui - qui] e
dei comunitarismi indigenisti revanscisti o “antirazzisti razzializzati”, tutti scatenati
contro il “maschio bianco giudeo-cristiano europeo” — il loro modello nazionale e
familiare, la loro civiltà e stanno anche minando la loro sussistenza. Colpito dalla
maledizione delle GAFAM [4] e delle élite post-democratiche — che concepiscono la
nuova democrazia come il monopolio esclusivo di un’“élite” che “educa” la maggioranza
sospetta del popolo, il potere sovrano dei cui rappresentanti eletti deve essere limitato
da quelle dei giudici inamovibili e delle istanze “indipendenti” non eletti —, l’uomo
bianco occidentale eterosessuale e giudeo-cristiano, che tiene alle sue radici, è ormai
l’obiettivo da abbattere. La doxa della cancel culture gli ingiunge di sparire nel
mattatoio dell’immigrazione di massa extra-europea e di una cultura di morte
decostruttrice e anti-natalista, presentata come unica espiazione possibile per le sue
colpe imperdonabili. Ciò spiega l’apparente paradosso che fa sì che gli atei
pro-terzomondisti neo-progressisti, i globalisti alla Soros o alla Benetton e altri adepti
della decostruzione sostengano allo stesso tempo da una parte il “wokismo”, le lobby
LGBT, le migrazioni illegali di massa, gli attacchi contro la religione cristiana, dall’altra i
disegni di conquista apertamente ostili dei proseliti islamisti, i quali sarebbero sciocchi
se non approfittassero della formidabile opportunità offerta loro dal decostruttivismo
occidentale che si offre oggettivamente — facendo abbassare la guardia agli europei —
come terra da conquistare, come vuoto identitario da colmare. Al contrario, i predatori
islamisti che colpevolizzano a oltranza un occidente pentito, da loro accusato
ipocritamente di essere “razzista e islamofobo”, non si associano alla Cina totalitaria che
controlla il mondo intero per mezzo della sua strategia da gioco da tavola basata sulla
dipendenza industriale e commerciale, che sottomette totalmente i difensori occidentali
delle comunità islamiche — e tanti altri —, senza provare alcun senso di colpa. - Fonte
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio di Antonio Marcantonio]
________________________[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio di Antonio Marcantonio]
[1] Neologismo costruito sul nome della Uber, un’azienda con sede a San Francisco che
fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un’applicazione
mobile che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti. [N.d.T.]
[2] “Woke”, letteralmente “sveglio”, è un aggettivo americano con il quale si designano gli
aderenti e i dettami di un’ideologia che utilizza le ingiustizie (vere o presunte) sociali o
razziali per alimentare la cancel culture. [N.d.T.]
[3] Processo di trasformazione delle credenze culturali e dei costumi della propria cultura, adottando tratti di una cultura diversa.
[4]Acronimo che designa le multinazionali globaliste Google, Apple, Facebook,
Amazon, Microsoft, note anche come Big Tech. [N.d.T.]
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