Nella nostra traduzione da Rorate Caeli, che ne fornisce il testo inglese, propongo la seguente lettera aperta a Papa Francesco di p. Wojciech Gołaski OP, già pubblicata in polacco. Indipendentemente da dove si colloca la questione della FSSPX, essa merita una lettura attenta per la sua formidabile critica alla “Traditionis Custodes”. Qui l'indice dei precedenti sulla TC.
Sua Santità Papa Francesco
Domus Sanctae Marthae
La Santa Sede
Città del Vaticano
All'attenzione di:
Rev. Maestro Generale dell'Ordine, Gerard Francisco Timoner III OP
Rev. Provinciale della Provincia Polacca, Paweł Kozacki OP
SE Vescovo della Diocesi di Tarnów, Andrzej Jeż
Rev. Superiore della Casa di Jamna, Andrzej Chlewicki OP
Fratelli e sorelle nell'Ordine
Rev. Superiore del Distretto Polacco della Fraternità San Pio X, Karl Stehlin FSSPX
Omnes quos res tangit
Santissimo Padre,
Ho quindi intrapreso il cammino offertomi dalla Chiesa.
Poi è arrivato il 16 luglio 2021.
Con filiale devozione in Cristo,
FR. Wojciech Golaski, OP
Domus Sanctae Marthae
La Santa Sede
Città del Vaticano
All'attenzione di:
Rev. Maestro Generale dell'Ordine, Gerard Francisco Timoner III OP
Rev. Provinciale della Provincia Polacca, Paweł Kozacki OP
SE Vescovo della Diocesi di Tarnów, Andrzej Jeż
Rev. Superiore della Casa di Jamna, Andrzej Chlewicki OP
Fratelli e sorelle nell'Ordine
Rev. Superiore del Distretto Polacco della Fraternità San Pio X, Karl Stehlin FSSPX
Omnes quos res tangit
Santissimo Padre,
Ho 57 anni fa e sono entrato nell'Ordine domenicano 35 anni fa. Da 29 anni ho preso i voti perpetui e sono sacerdote da 28. Della Santa Messa nella forma precedente alla riforma del 1970 avevo solo vaghi ricordi della mia prima infanzia. Sedici anni dopo la mia ordinazione, due amici laici (sconosciuti tra loro) mi hanno esortato a imparare a celebrare la Santa Messa tradizionale. Li ho ascoltati.
È stato uno shock per me. Ho scoperto che la Santa Messa nella sua forma classica:
- dirige tutta l'attenzione del sacerdote e dei fedeli verso il Mistero,
- esprime, con grande precisione di parole e di gesti, la fede della Chiesa su quanto accade qui e ora sull'altare,
- rafforza, con una potenza pari alla sua precisione, la fede del celebrante e del popolo,
- non induce né il sacerdote né i fedeli ad alcuna personale invenzione o creatività durante la liturgia,
- li pone, al contrario, su un cammino di silenzio e contemplazione,
- offre per il numero e la natura dei suoi gesti la possibilità di incessanti atti di pietà e di amore verso Dio,
- unisce il sacerdote e i fedeli, ponendoli dalla stessa parte dell'altare e volgendoli nella stessa direzione: versus Crucem, versus Deum.
Mi sono detto: ecco cos'è la Santa Messa! E io, sacerdote da 16 anni, non lo sapevo! È stato un potente eureka, una scoperta, dopo la quale la mia idea della Messa non poteva rimanere la stessa.
Fin dall'inizio mi aveva colpito che questo rito fosse l'opposto dello stereotipo. Al posto del formalismo, libera espressione dell'anima davanti a Dio. Invece di apatia, il fervore del culto divino. Invece di distanza, vicinanza. Invece di estraneità, intimità. Invece di rigidità, sicurezza. Invece della passività dei laici, il loro legame profondo e vivo con il mistero (è stato attraverso i laici, in fondo, che sono stato condotto alla Messa tradizionale). Invece di una voragine tra sacerdote e fedeli, una stretta unione spirituale tra tutti i presenti, protetta ed espressa dal silenzio del Canone. Nel fare questa scoperta mi è apparso chiaro: questa stessa forma è il nostro ponte verso le generazioni che sono vissute prima di noi e ci hanno trasmesso la fede. In questa unità ecclesiale che trascende ogni tempo la mia gioia è stata enorme.
Fin dall'inizio ho sperimentato la potente forza di attrazione spirituale della Messa nella sua forma tradizionale. Non erano i segni in sé che mi attiravano, ma il loro significato, che l'anima sa leggere. Il solo pensiero della prossima celebrazione mi riempiva di gioia. Ho cercato ogni occasione per festeggiare con entusiasmo e desiderio. Ben presto maturò in me la certezza assoluta che, se fino alla fine dei miei giorni avessi celebrato la Messa (così come ogni Sacramento e cerimonia) solo nella sua forma tradizionale, non mi sarebbe mancata minimamente la forma postconciliare.
Se qualcuno mi avesse chiesto di esprimere con una sola parola i miei sentimenti sulla celebrazione tradizionale nel contesto del rito riformato, avrei risposto "sollievo". Perché era davvero un sollievo, di una profondità indescrivibile. Era come quello di chi, avendo camminato tutta la vita con scarpe con un sassolino che sfrega e irrita i piedi, ma che non ha altra esperienza del camminare, si offre, 16 anni dopo, un paio di scarpe senza sassolino e le parole: "Ecco", "Indossale", "provale!". Non solo ho riscoperto la Santa Messa, ma anche la sorprendente differenza tra le due forme: quella in uso da secoli e quella postconciliare. Non conoscevo questa differenza perché non conoscevo la forma precedente. Non posso paragonare il mio incontro con la liturgia tradizionale a un incontro con qualcuno che mi ha adottato ed è diventato mio genitore adottivo. È stato un incontro con una Madre che è sempre stata mia Madre, eppure non l'avevo conosciuta.
In tutto questo sono stato accompagnato dalla benedizione dei Sommi Pontefici. Avevano insegnato che il messale del 1962 «non era mai stato legalmente abrogato ed è rimasto quindi, in linea di principio, sempre consentito», aggiungendo che «ciò che era stato sacro per le generazioni precedenti è rimasto sacro e grande anche per noi, e non poteva improvvisamente diventare del tutto vietato nemmeno considerato dannoso. Spetta a tutti noi conservare le ricchezze che sono state sviluppate attraverso la fede e la preghiera della Chiesa e dare loro il posto che le spetta» (Benedetto XVI, Lettera ai Vescovi, 2007). Ai fedeli veniva anche insegnato: “Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria si mantenga con l'onore ad essa dovuto”; è stato descritto come “un prezioso tesoro da custodire” (Istruzione Universae Ecclesiae, 2011). Queste parole facevano seguito a documenti precedenti che consentivano ai fedeli di utilizzare la liturgia tradizionale dopo le riforme del 1970, la prima delle quali Quattuor abhinc annos del 1984. Il fondamento e la fonte di tutti questi documenti rimane la Bolla di San Pio V, Quo primum tempore (1570).
Santo Padre, se, senza dimenticare il solenne documento di Papa Pio V, prendiamo in considerazione il lasso di tempo che copre le dichiarazioni dei suoi immediati predecessori, abbiamo una durata di 37 anni, dal 1984 al 2021, durante i quali la Chiesa ha detto ai fedeli, riguardo alla liturgia tradizionale, e sempre più fortemente: “C'è questa via. Puoi percorrerla."
Chi percorre questa strada, chi vuole che questo rito, che è vascello della Presenza divina e della divina Oblazione, porti frutto nella propria vita, deve aprirsi interamente per affidare se stesso e gli altri a Dio, presente e operante in noi mediante il vascello di questo santo rito. Ed è questo che ho fatto, con completa fiducia.
Poi è arrivato il 16 luglio 2021.
Dai suoi documenti, Santo Padre, ho appreso che il sentiero che percorrevo da 12 anni aveva cessato di esistere.
Abbiamo affermazioni di due Papi. Sua Santità Benedetto XVI aveva affermato che il Messale Romano promulgato da san Pio V “deve essere considerato l'espressione straordinaria della lex orandi della Chiesa cattolica di rito romano”. Eppure Sua Santità Papa Francesco afferma che «i libri liturgici promulgati dai Papi san Paolo VI e san Giovanni Paolo II (...) sono l'unica espressione della lex orandi del rito romano». L'affermazione del successore smentisce quindi quella del suo predecessore ancora in vita.
Può un certo modo di celebrare la Messa, confermato dalla Tradizione immemorabile e secolare, riconosciuta da ogni Papa, compreso Lei, Santo Padre, fino al 16 luglio 2021, e santificato dall'esser praticato per tanti secoli, cessare improvvisamente di essere la lex orandi del rito romano? Se così fosse, significherebbe che tale caratteristica non è intrinseca al rito ma è un attributo esterno, soggetto alle decisioni di coloro che occupano posti di alta autorità. In realtà, la liturgia tradizionale esprime la lex orandi del rito romano con ogni suo gesto e ogni sua frase e con l'insieme che ne è composto. Anche l'espressione della lex orandi è garantita, come ha sempre ritenuto la Chiesa, dal suo uso ininterrotto da tempo immemorabile. Dobbiamo concludere che la prima affermazione papale [di Benedetto] ha solide basi ed è vera e che la seconda [di Francesco] è infondata ed è falsa. Ma nonostante sia falsa, le viene comunque conferito potere di legge. Questo ha delle conseguenze di cui scriverò di seguito.
Le concessioni sull'uso del Messale del 1962 hanno ora un carattere diverso rispetto a quelle precedenti. Non si tratta più di rispondere all'amore con cui i fedeli aderiscono alla forma tradizionale, ma di dare ai fedeli il tempo – quanto tempo, non ci è detto – per “tornare” alla liturgia riformata. Le parole del Motu Proprio e la sua Lettera ai Vescovi rendono del tutto chiaro che è stata presa, ed è già in atto, la decisione di eliminare la liturgia tradizionale dalla vita della Chiesa e gettarla nell'abisso dell'oblio: non si può usare nelle parrocchie, non si devono formare nuovi gruppi, bisogna consultare Roma se la devono dire nuovi preti. I vescovi ora devono davvero essere Traditionis Custodes, “custodi della Tradizione”, e non nel senso di tutori che la proteggono, ma più precisamente nel senso di custodi di un carcere.
Mi consenta di esprimere la mia convinzione che ciò non accadrà e che l'operazione fallirà. Quali sono i motivi di questa convinzione? Un'attenta analisi di entrambe le Lettere del 16 luglio mette in luce quattro componenti: hegelismo, nominalismo, fede nell'onnipotenza del Papa e responsabilità collettiva. Ognuna è una componente essenziale del suo messaggio e nessuna di esse è riconciliabile con il deposito della fede cattolica. Poiché non possono essere riconciliati con la fede, non saranno integrati in essa né in teoria né in pratica. Esaminiamoli per ordine.
1) Hegelismo. Il termine è convenzionale: non significa letteralmente il sistema del filosofo tedesco Hegel, ma qualcosa che deriva da questo sistema, cioè la comprensione della storia come un processo buono, razionale e inevitabile di continui cambiamenti. Questo modo di pensare ha una lunga storia, da Eraclito e Plotino, a Gioacchino da Fiore, fino a Hegel, Marx e ai loro eredi moderni. La caratteristica di questo approccio è quella di dividere la storia in fasi, in modo tale che l'inizio di ogni nuova fase sia unito alla fine di quella precedente. I tentativi di "battezzare" l'hegelismo non sono altro che tentativi di dotare queste presunte fasi storiche dell'autorità dello Spirito Santo. Si presume che lo Spirito Santo comunichi alla generazione successiva qualcosa di cui non ha parlato alla precedente, o addirittura che impartisca qualcosa che contraddice ciò che ha detto prima. In quest'ultimo caso, dobbiamo accettare una delle tre cose: o in certe fasi la Chiesa non ha obbedito allo Spirito Santo, oppure lo Spirito Santo è soggetto a cambiamento, o porta in sé delle contraddizioni.
Un'altra conseguenza di questa visione del mondo è un cambiamento nel modo in cui comprendiamo la Chiesa e la Tradizione. La Chiesa non è più vista come una comunità che unisce i fedeli trascendendo il tempo, come sostiene la fede cattolica, ma come un insieme di nuclei appartenenti alle varie fasi. Questi gruppi non hanno più un linguaggio comune: i nostri antenati non avevano accesso a ciò che lo Spirito Santo ci dice oggi. La stessa tradizione non è più un messaggio continuamente studiato; consiste piuttosto nel ricevere sempre nuove cose dallo Spirito Santo. Veniamo poi ad ascoltare invece, come nella Sua Lettera ai Vescovi, Santo Padre, della “dinamica della Tradizione”, spesso con un'applicazione ad eventi specifici. Ne è un esempio quando scrive che "l'ultima tappa di questa dinamica è il Concilio Vaticano II, durante il quale i vescovi cattolici si sono riuniti per ascoltare e discernere la via indicata alla Chiesa dallo Spirito Santo". Questo ragionamento implica che una nuova fase richiede nuove forme liturgiche, perché le prime erano adatte alla fase precedente, che è finita. Poiché questa sequenza di tappe è sancita dallo Spirito Santo, attraverso il Concilio, coloro che si aggrappano alle vecchie forme pur avendo accesso a quelle nuove si oppongono allo Spirito Santo.
Tali opinioni, tuttavia, sono contrarie alla fede. La Sacra Scrittura, norma della fede cattolica, non fornisce alcun fondamento per una tale comprensione della storia. Piuttosto, ci insegna una comprensione completamente diversa. Il re Giosia, avendo appreso della scoperta dell'antico libro della Legge, ordinò che la celebrazione della Pasqua si svolgesse in conformità ad esso, nonostante un'interruzione di mezzo secolo (2 Re 22-23). Allo stesso modo, Esdra e Neemia al loro ritorno dalla cattività babilonese celebrarono con tutto il popolo la Festa dei Tabernacoli, rigorosamente secondo gli antichi documenti della Legge, nonostante fossero trascorsi molti decenni dalla precedente celebrazione (Ne 8). In ogni caso, gli antichi documenti della legge servivano a rinnovare il culto divino dopo un periodo di disordine. Nessuno ha chiesto un cambiamento nel rituale per il fatto che erano arrivati nuovi tempi.
2) nominalismo. Mentre l'hegelismo influenza la comprensione della storia, il nominalismo influenza la comprensione dell'unità. Il nominalismo implica che l'introduzione dell'unità esteriore (attraverso una decisione amministrativa dall'alto verso il basso) equivale al raggiungimento dell'unità reale. Questo perché il nominalismo abolisce la realtà spirituale cercando di coglierla e regolarla con misure materiali. Lei scrive, Santo Padre, che: «È per difendere l'unità del Corpo di Cristo che sono costretto ad annullare la facoltà concessa dai miei predecessori». Ma per raggiungere questo traguardo, la vera unità, i suoi predecessori hanno preso la decisione opposta, e non senza ragione. Quando si comprende che la vera unità include qualcosa di spirituale e di interno, e quindi differisce dalla mera unità esterna, non la si cerca più semplicemente nell'uniformità di segni esterni. Non si ottiene così la vera unità, ma l'impoverimento, e l'opposto dell'unità: la divisione.
L'unità non risulta dalla revoca delle facoltà, dalla revoca del consenso e dall'imposizione di limitazioni. Il re Roboamo di Giuda, prima di decidere come trattare gli israeliti, che desideravano che migliorasse la loro sorte, consultò due gruppi di consiglieri. I più anziani raccomandavano la clemenza e una riduzione dei fardelli delle persone: l'età, nella Sacra Scrittura, simboleggia spesso la maturità. I giovani, che erano contemporanei del re, raccomandavano di aumentare i loro fardelli e l'uso di parole dure: la giovinezza, nella Scrittura, simboleggia spesso l'immaturità. Il re seguì il consiglio dei giovani. Ciò non è riuscito ad assicurare l'unità tra Giuda e Israele. Al contrario, iniziò la divisione del paese in due regni (1 Re 12). Nostro Signore ha sanato questa divisione con la mitezza, sapendo che la mancanza di questa virtù aveva causato la scissione.
Prima della Pentecoste, gli apostoli valutavano l'unità secondo criteri esterni. Questo approccio è stato corretto dal Salvatore stesso, il quale, in risposta alle parole di san Giovanni: “Maestro, abbiamo visto un uomo scacciare gli spiriti maligni nel tuo nome e non glielo abbiamo permesso, perché non era uno di noi», rispose «Non glielo proibite, perché chi non è contro di noi è con noi» (Lc 9,49-50, cfr Mc 9,38-41). Santo Padre, lei aveva molte centinaia di migliaia di fedeli che “non erano contro” di lei. E ha fatto così tanto per rendere loro le cose difficili! Non sarebbe stato meglio seguire le parole del Salvatore che, dell'unità, indicano un fondamento spirituale più profondo? L'hegelismo e il nominalismo diventano spesso alleati, poiché la comprensione materialistica della storia porta alla convinzione che ogni tappa debba terminare irrevocabilmente.
3) Credere nell'onnipotenza del Papa. Quando papa Benedetto XVI ha concesso maggiore libertà all'uso della forma classica della liturgia, ha fatto riferimento a una consuetudine e usus secolare. Questi fornirono alla sua determinazione una solida base. La decisione di Sua Santità non poggia su tali fondamenti. Al contrario, revoca qualcosa che è esistito e ha resistito per molto tempo. Lei scrive, Santo Padre, che trova sostegno nelle decisioni di San Pio V, ma egli ha applicato criteri esattamente opposti ai suoi. Secondo lui, ciò che era esistito e durato secoli sarebbe continuato indisturbato; solo ciò che era più recente è stato abrogato. L'unica base rimasta alla sua decisione è quindi la volontà di una persona dotata di autorità papale. Può questa autorità, per quanto grande, impedire agli antichi usi liturgici di essere espressione della lex orandi della Chiesa romana? San Tommaso d'Aquino si chiede se Dio può far sì che qualcosa che una volta è esistito, non sia mai esistito. La risposta è no, perché all'onnipotenza di Dio non appartiene la contraddizione (Summa Theologiae, p. I, qu. 25, art. 4). Analogamente, l'autorità papale non può far sì che rituali tradizionali che hanno espresso per secoli la fede della Chiesa ( lex credendi ) improvvisamente, un giorno, non esprimano più la legge della preghiera della Chiesa stessa ( lex orandi ). Il Papa può prendere decisioni, ma non quelle che violano un'unità che si estende al passato e al futuro, ben oltre la durata del suo pontificato. Il Papa è al servizio di un'unità più grande della propria autorità. Perché è un'unità donata da Dio e non di origine umana. È dunque l'unità che prevale sull'autorità, e non l'autorità sull'unità.
4) Responsabilità collettiva. Indicando i motivi della sua decisione, Santo Padre, lei avanza varie e gravi accuse contro coloro che esercitano le facoltà riconosciute da Papa Benedetto XVI. Non è specificato, tuttavia, chi perpetra questi abusi, né dove, né in quale numero. Ci sono solo le parole "spesso" e "molti". Non sappiamo nemmeno se sia la maggioranza. Probabilmente no. Eppure non la maggioranza, ma tutti coloro che si avvalgono delle suddette facoltà sono stati colpiti da una sanzione penale draconiana. Sono stati privati del loro percorso spirituale, immediatamente o in un momento futuro non specificato. Ci sono sicuramente persone che abusano dei coltelli. Occorre dunque vietare la produzione e la distribuzione di coltelli? La sua decisione, Santo Padre, è molto più grave dell'ipotetica assurdità di un divieto universale di fabbricare coltelli.
Santo Padre: perché lo fa? Perché ha attaccato la santa pratica dell'antica forma di celebrare il Santissimo Sacrificio di Nostro Signore? Gli abusi commessi in altre forme, diffuse o universali che siano, non provocano nulla se non parole, dichiarazioni espresse in termini generali. Ma come insegnare con autorità che «la scomparsa di una cultura può essere altrettanto grave, o anche più grave, della scomparsa di una specie vegetale o animale» ( Laudato sì 145), e poi qualche anno dopo, con un solo atto, destinare all'estinzione gran parte del patrimonio spirituale e culturale della Chiesa? Perché le regole di “ecologia profonda” da lei formulate non trovano applicazione in questo caso? Perché invece non si è chiesto se il numero sempre crescente di fedeli che assistono alla liturgia tradizionale possa essere un segno dello Spirito Santo? Non ha seguito il consiglio di Gamaliele (At 5). Invece li ha colpiti con un divieto senza neppure una vacatio legis.
Il Signore Dio, modello per i governanti terreni e, in primo luogo, per le autorità ecclesiastiche, non usa la sua potenza in questo modo. Così parla la Sacra Scrittura a Dio: “Poiché la tua forza è principio di giustizia: e poiché di tutti sei Signore, con tutti sei indulgente (…) : perché il tuo potere lo eserciti quando vuoi» (Sap 12,16-18). Il vero potere non ha bisogno di dimostrarsi con la durezza. E la durezza non è attributo di alcuna autorità che segua il modello divino. Il nostro stesso Salvatore ci ha lasciato un insegnamento preciso e affidabile su questo (Mt 20, 24-28). Non solo il tappeto è stato strappato, per così dire, da sotto i piedi delle persone che camminavano verso Dio; è stato fatto un tentativo di privarli del terreno stesso su cui camminano. Questo tentativo non avrà successo. Nulla che sia in conflitto con il cattolicesimo sarà accettato nella Chiesa di Dio.
Santo Padre, è impossibile sperimentare la terra sotto i piedi per 12 anni e affermare improvvisamente che non c'è più. È impossibile concludere che la mia stessa Madre, ritrovata dopo molti lunghi anni, non sia mia Madre. L'autorità papale è immensa. Ma anche questa autorità non può far cessare mia Madre di essere mia Madre! Una sola vita non può sopportare due rotture che si escludono a vicenda, una delle quali apre un tesoro, mentre l'altra sostiene che questo tesoro deve essere abbandonato perché il suo valore è scaduto. Se dovessi accettare queste contraddizioni, non potrei più avere alcuna vita intellettuale e, quindi, neppure una vita spirituale. Da due affermazioni contraddittorie può derivare qualsiasi affermazione, vera o falsa. Ciò significa la fine del pensiero razionale, la fine di ogni nozione di realtà, la fine della comunicazione effettiva di qualsiasi cosa a chiunque. Ma tutte queste cose sono componenti fondamentali della vita umana in generale, e della vita domenicana in particolare.
Non ho dubbi sulla mia vocazione. Sono fermamente deciso a continuare la mia vita e il mio servizio nell'Ordine di San Domenico. Ma per farlo devo essere in grado di ragionare correttamente e logicamente. Dopo il 16 luglio 2021 questo non è più possibile per me all'interno delle strutture esistenti. Vedo con tutta chiarezza che il tesoro dei santi riti della Chiesa, la terra sotto i piedi di coloro che li praticano, e la madre della loro pietà, continua ad esistere. Mi è diventato altrettanto chiaro che devo testimoniarlo.
Non mi resta ora altra scelta che rivolgermi a coloro che fin dall'inizio dei cambiamenti radicali (cambiamenti, si noti, che vanno ben oltre la volontà del Concilio Vaticano II) hanno difeso la Tradizione della Chiesa, insieme col rispetto della Chiesa per le esigenze della ragione, e che continuano a trasmettere ai fedeli il deposito immutabile della fede cattolica: la Fraternità Sacerdotale San Pio X. La FSSPX si è mostrata disponibile ad accogliermi, nel pieno rispetto della mia identità domenicana. Mi sta fornendo non solo una vita di servizio a Dio e alla Chiesa, un servizio non ostacolato da contraddizioni, ma anche un'opportunità per oppormi a quelle contraddizioni che sono nemiche della Verità e che hanno attaccato la Chiesa con tanta forza.
C'è uno status di controversia tra la FSSPX e le strutture ufficiali della Chiesa. È una disputa interna alla Chiesa, e riguarda questioni di grande importanza. I documenti e le decisioni del 16 luglio hanno fatto convergere la mia posizione su questo tema con quella della FSSPX. Come ogni controversia importante, anche questa deve essere risolta. Sono determinato a dedicare i miei sforzi a questo fine. Considero questa lettera parte di questo sforzo. I mezzi usati non possono che essere un umile rispetto per la Verità e la mitezza, entrambe scaturenti da una fonte soprannaturale. Possiamo così sperare nella soluzione della controversia e nella ricostruzione di un'unità che abbracci non solo coloro che vivono ora, ma anche tutte le generazioni, passate e future.
La ringrazio per l'attenzione che ha riservato alle mie parole e imploro, Santissimo Padre, la sua benedizione apostolica.
Con filiale devozione in Cristo,
FR. Wojciech Golaski, OP
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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