Un interessante messaggio di Peter Kwasniewski sui fondamenti della resistenza alle disposizioni di Traditionis custodes. Alcuni precedenti sul sensus fidei e implicazioni : qui - qui - qui - qui - qui.
"Molto triste quel tempo in cui i sapienti si mostrano più inadeguati del popolo…". Qui l'indice dei precedenti su TC.
Nel 2014, la Commissione teologica internazionale [qui] affrontava la questione del "sensus fidei" in un documento che presenta alcuni passaggi piuttosto notevoli. Questo non è un testo magisteriale ma ovviamente sintetizza verità che da tempo fanno parte della tradizione. Bisogna recuperare soprattutto questi punti:
61. «Carissimi, non prestate fede ad ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo» (1 Gv 4:1). Il sensus fidei fidelis conferisce al credente la capacità di discernere se un insegnamento o una pratica è coerente con la vera fede con cui vive già....62. Il sensus fidei fidelis consente anche a ogni credente di percepire una disarmonia, un’incoerenza o una contraddizione fra un insegnamento o una prassi e la fede cristiana autentica di cui vive. Egli reagisce allora alla maniera di un melomane che percepisce le note sbagliate nell’esecuzione di un brano musicale. In questo caso i credenti resistono interiormente agli insegnamenti o alle pratiche in questione e non li accettano o non vi prendono parte. «L’habitus della fede possiede questa capacità grazie alla quale il credente è trattenuto dal dare il proprio assenso a ciò che è contrario alla fede, proprio come la castità si trattiene in relazione a ciò che è contrario alla castità». (Tommaso D'Aquino, Quæstiones disputatæ de veritate, q. 14, a. 10, ad 10 ; cf. Id., Sup. III Sententiarum, d. 25, q. 2, a. 1, sol. 2, ad 3.).63. Avvertiti dal proprio sensus fidei, i singoli credenti possono giungere a rifiutare l’assenso a un insegnamento dei propri legittimi pastori se non riconoscono in tale insegnamento la voce di Cristo, il buon Pastore. «Le pecore lo seguono [il buon Pastore] perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei» (Gv 10,4-5). Per san Tommaso un credente, anche privo di competenza teologica, può e anzi deve resistere in virtù del sensus fidei al suo vescovo se questo predica cose eterodosse. (Tommaso d’Aquino, Sup. III Sententiarum, d. 25, q. 2, a. 1, sol. 4, ad 3:) In tal caso il credente non innalza se stesso a criterio ultimo della verità di fede: al contrario, di fronte a una predicazione materialmente «autorizzata» ma che lo turba, senza che ne possa spiegare esattamente la ragione, egli differisce il proprio assenso e si appella interiormente all’autorità superiore della Chiesa universale.(Tommaso d’Aquino, Sup. III Sententiarum, d. 25, q. 2, a. 1, sol. 2, ad 3; Id., Quæstiones disputatæ de veritate, q. 14, a. 11, ad 2.)
Ora, alla luce di ciò, considerate l'unanime assioma tradizionale che la liturgia tramandata, la lex orandi, è la lex credendi della Chiesa Cattolica. Conosciamo la verità e la esprimiamo attraverso il nostro culto. Questa è la prospettiva in cui dovremmo vedere la resistenza tradizionale a Paolo VI e (ora) a Francesco.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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