In un regime totalitario come questo, qualsiasi pensiero critico inopportuno viene considerato come una malattia da curare, come un morbo da cui si deve guarire. È escluso che si possa permettere la libertà di espressione, la libertà di coscienza, la libertà di parola e la libertà di associazione; ed è escluso che i dibattiti possano avere veramente luogo. Pensare al di sopra, a margine o in qualsiasi altro rapporto indipendente dall’ideologia dominante è qualcosa di assolutamente improponibile. Chiunque rivendichi una simile libertà è un pazzo, un malato, un caso patologico da rimettere nelle mani degli ideologi che lo rieducheranno e gli insegneranno a liberarsi delle proprie velleità libertarie e a riallinearsi con entusiasmo.
«Devi umiliarti se vuoi ritrovare la ragione»: questo insegna l’intellettuale incaricato della rieducazione. Se si crede che «due più due fa quattro» mentre il sistema sostiene che due più due fa cinque, si deve avere l’umiltà di confessare che si sta sbagliando, perché il sistema ha sempre ragione. Questo stesso sistema non vuole che il refrattario accetti la versione del «due più due fa cinque» solo per essere lasciato in pace; vuole che il soggetto da rieducare sia intimamente persuaso, convinto e sicuro che due più due fa cinque.
È qui che nasce l’idea che difendere una tesi «vera» significa recare offesa al sistema, e che al contrario accettare un’opinione falsa ma convalidata dal sistema rappresenta un atto d’umiltà.
E cosa sostiene il sistema quando vuole rieducare un uomo che ha preferito la verità universale all’errore della partigianeria?
«Hai rifiutato l’atto di sottomissione che è il prezzo della salute mentale. Hai preferito essere un pazzo, costituire una tua minoranza. Solo una mente disciplinata riesce a vedere la realtà». La realtà non è quella che vediamo in quanto tale, la realtà è quella che il sistema ci dice che è. «Non è facile recuperare la ragione».
Tratto da “Teoria della dittatura” di M. Onfray
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