giovedì 23 settembre 2021

La Traditionis custodes è il crocevia di molti nodi. Rivela l'ermeneutica della rottura vanificando le sottigliezze di Ratzinger

È venuto pienamente alla luce il ribaltamento sulla Tradizione e su cosa e chi è autenticamente tradizionale. Avevamo già illustrato la questione dell'ermeneutica sorta in seguito alla rivoluzione mascherata da aggiornamento operata dall'applicazione pragmatica di mutazioni cripticamente presenti nei documenti del Concilio Vaticano II. Ora, in una esplicita dichiarazione dell'Arcivescovo di Liverpool, ne abbiamo una testimonianza diretta su cui ho sviluppato le relative implicazioni. Qui l'indice degli interventi precedenti e correlati sulla Traditionis Custodes.

La Traditionis custodes è il crocevia di molti nodi

L'acceso e inarrestabile dibattito sul Rito Romano antico, che Bergoglio ha praticamente delegittimato nella “Traditionis custodes”, consente diverse puntualizzazioni. Estraggo da un recente articolo [qui] una dichiarazione dell'Arcivescovo di Liverpool, Mons Malcolm McMahon(1):
Una cosa che ha infastidito molti cattolici è che coloro che sono devoti ai vecchi modi di culto spesso si definiscono "tradizionali". Penso che abbiano dirottato la parola per uso personale. Papa Francesco ha rivendicato la “tradizione” mondiale affermando chiaramente che i vescovi sono i custodi della tradizione. La tradizione ha un significato particolare in teologia, si riferisce a san Paolo quando dice che ci trasmette ciò che ha ricevuto. In altre parole, la tradizione è un concetto vivente, non qualcosa bloccato nel passato. La Messa che celebro quotidianamente è quella che ho ricevuto da Papa San Paolo VI e da Papa San Giovanni Paolo II ed è quindi la Messa “tradizionale”. La puntualizzazione che sto facendo è più della semplice semantica; si tratta della vita stessa della Chiesa.
Questa dichiarazione non è altro che la conferma dell'ermeneutica storicista e dunque in rottura, non più in continuità di un concilio rispetto ai precedenti e rispetto alla fede della Chiesa. Con l'aggravante della citazione di San Paolo, che riguarda il Depositum fidei e non il dettato dell'ultimo papa regnante o delle disposizioni più congeniali dei predecessori. Una dimostrazione in più che la Traditionis custodes è il crocevia di molti nodi. Quello essenziale è che rivela senza più infingimenti  l'ermeneutica della rottura vanificando le sottigliezze di Ratzinger (vedi infra). 
Michael Brendan Dougherty, nell'articolo da cui ho ripreso la citazione, dimostra come “nel racconto dell'arcivescovo, la chiesa non esiste per il Vangelo, ma per se stessa. La sua autorità è insegnare che ha autorità per insegnare. Avanzo l'ipotesi che questo errore possa essersi insinuato nella chiesa solo a causa della riforma liturgica”. Dougherty centra il suo discorso successivo sul concetto di adesione al positivismo papale e a quello dell'indefettibilità della Chiesa sulla scia del Concilio. Sostanzialmente non è solo un'ipotesi di cui l'Autore dimostra l'attendibilità, ma è la prova di un ribaltamento concreto della realtà ecclesiale di cui, di seguito, prendo in considerazione alcuni risvolti e implicazioni. 

In realtà il vescovo non riconosce le due fonti della fede cattolica, la Sacra Scrittura e la Tradizione, una indipendente dall’altra ma ambedue collegate insieme dal Magistero ecclesiastico nell’unità di un’unica e medesima Fede. La teoria delle 'due fonti' allontana la tentazione di menomare alcune verità di Fede, ad esempio i dogmi mariani, dedotti dalla Tradizione e non dalla Sacra Scrittura. Una tendenza rovinosa, che si è impadronita del pensiero degli ermeneuti della discontinuità, suggestionati e infatuati dall’errore intorno alla sola scriptura dettato dalla rabbia antiromana a Martin Lutero. Oggi questo è molto più evidente di prima. Il risultato di questa "reductio ad unum" delle fonti è il magistero stesso come fonte di rivelazione.

Per favorire la lettura anziché rimandare ai link, estrapolo e integro di seguito concetti già esposti in precedenti occasioni proprio su questo tema. In ogni caso repetita iuvant. Ricordo solo il testo più recente: Traditionis custodes e i rigurgiti della 'discontinuità' [qui] di cui riporto l'indice: 1. Premessa; 2. Il Summorum: uno spartiacque con molti punti deboli; 3. Lo sviluppo organico della Liturgia, 4. Numquam abrogatam; 5. Ha un papa il diritto di abrogare la Messa?; 6. Conclusione.

Gli innovatori, compresi gli attuali, vedono la Liturgia – come pure la Tradizione – con criteri storicistici, che le concepiscono entrambe in evoluzione a seconda dei tempi; ma non ha senso parlare di evoluzione, perché la liturgia e la tradizione non possono evolvere in senso storicistico, nell'ottica di subire mutazioni profonde che ne snaturano l'essenza e allontanano sempre più dalle radici; mutazioni indotte paradossalmente col pretesto dell'adeguamento ai tempi o di un supposto, enfatizzato, impossibile ritorno alle origini di conio protestante, già stigmatizzato come “insano archeologismo liturgico” da Pio XII nella Mediator Dei.

Esiste, invece, e va riaffermata, una continuità omogenea della Tradizione, l’analogia della Fede, che non conosce né sovvertimenti né sperimentazioni perché conserva l’essenza della Rivelazione Apostolica originaria. Si possono fare mille discorsi sul fatto che la liturgia possa mutare; ma nel senso di creare un nuovo prefazio o aggiornare il Santorale. Si tratta quindi di ritoccare cum grano salis, non di gestire l’evoluzione di un Rito di origine apostolica, che ci arriva dalla profondità dei millenni e, in definitiva, dall’eternità. 

Si tratta del più volte ricordato sviluppo organico non tecnico [ne ho parlato qui], riconosciuto persino dalla Costituzione conciliare sulla sacra Liturgia(2) e affermato dallo Stesso Ratzinger/Benedetto XVI in un'opera degli anni '70 nonché nella Lettera ai vescovi per il Summorum (3). Non è questa la sede per ricordare anche alcune ambiguità e contraddizioni disseminate altrove.

Di fatto, oggi, il Novus Ordo non corrisponde ad uno sviluppo organico della liturgia, ma ad un’innovazione esasperata e, soprattutto, arbitraria. I novatori in questo si scoprono molto papalini e, siccome il papa ha nuovamente approvato, non se ne potrebbe nemmeno discutere. Ma dal lungo testo di Ratzinger citato in nota si ha la conferma che il punto fondamentale non è la natura del nuovo rito, per sommi capi ortodosso, ma la soppressione (mediante abuso di autorità) del rito tradizionale; il che ha generato una artificiale contrapposizione fra un “vecchio” da eliminare frettolosamente e un “nuovo” prodotto a tavolino da una commissione di esperti. 

Tornando al problema di fondo, è proprio la tradizione storicista che consente che un papa possa disfare quanto costruito dal suo predecessore. E non solo riguardo alla Liturgia...

Il nocciolo del discorso è che oggi, a partire dal concilio 'pastorale' (che agisce attraverso la prassi e rifugge dalle definizioni supportate teologicamente e canonicamente), nessun papa si è più pronunciato, né – per come stanno ora le cose – più si pronuncerà ex cathedra (e dunque impegnando l'infallibilità e vediamo d'intenderci sull'infallibilità[4]) con documenti di cui ogni parola è sempre misurata, ogni concetto esplicitato e sviluppato, proprio per non lasciare spazio a equivoci e interpretazioni errate. L'attuale magistero fluido che ne deriva poggia sul nuovo paradigma di 'tradizione vivente' in senso storicista che assegna la facoltà di riformare la Chiesa alla Chiesa del presente, esplicitata dalla ratzingeriana ermeneutica della riforma [qui] intesa come rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa che cambia ad ogni epoca, commisurata alla cultura del tempo e realizza la lettura del Vangelo sulla base di quest'ultima, anziché viceversa, nella continuità fondata sull'oggetto-Tradizione.

È cambiato il cardine su cui si fonda la Fede e la sua trasmissione, spostato dall'oggetto-Rivelazione al soggetto-Chiesa/Popolo di Dio[5] pellegrina nel tempo e di fatto trasferito dall'ordine della conoscenza a quello dell'esperienza, evidenziato dal primato del sentimento, o addirittura della sensazione o del sensazionalismo, sull'intelletto. Il cuore umano è diventato sentimento: nulla a che fare con il cuore biblico, cioè con l'interiorità profonda, il 'luogo' delle scelte fondamentali e, oggi, in nome del vangelo tutto diventa sdolcinato sentire, emozione, percezione soggettiva. Da conseguenza a punto di partenza.

Non è altro che è una delle molte facce ed espressioni della nuova antropologia introdotta dal concilio, passata dal teocentrismo all'antropocentrismo [Gaudium et spes -qui- un testo di Mons. Gherardini]: un uomo centrato su se stesso e non più fontalmente orientato a Dio con le innumerevoli implicazioni, anche in campo liturgico. Frutto dello storicismo, del personalismo e di ogni altra spinta modernista, che hanno nutrito la Nouvelle Théologie che la sta facendo tuttora da padrona, in una Chiesa non più docente ma dialogante.

Come esempio della confusione generata dal ribaltamento basti pensare che, mentre da un lato il card. Burke può dire che l'esortazione Amoris Laetitia non è Magistero(6)  [qui - qui] perché non riafferma l'insegnamento costante della Chiesa e ciò non implica adesione de fide – e altrettanto dicasi per Querida Amazonia et alia [qui - qui] – dall'altro il papa ha potuto decretare la pubblicazione negli AAS dei criteri interpretativi dell'AL dei vescovi argentini e della lettera papale loro indirizzata, spuri rispetto all’insegnamento costante delle chiesa [qui].

Fedeli dalla coscienza ben formata sanno a Chi devono obbedire. Ma finché non si recupererà la giusta collocazione del soggetto-Chiesa rispetto all'oggetto-tradizione, la confusione continuerà a regnare sovrana con gravi conseguenze per la salus animarum.

Tornando al Concilio e alle sue nefaste conseguenze, tra lo spirito con cui si è intrapresa la celebrazione della ventunesima Assise ecumenica ed i sedici documenti maturati al suo termine c’è una logica perfetta: il rifiuto, infatti, degli Schemi ufficialmente preparati, con il quale essa prese l’avvio. E dunque quella Assise non poteva ingenerare che quei documenti, con quel loro indirizzo, quelle loro aperture, non sempre immediatamente riconoscibili. E da queste, proprio perché tali, non poteva scaturire che un atteggiamento di rottura col passato. Affermare questo non comporta necessariamente un no al Concilio, del quale ricordo che mons. Gherardini individua quattro distinti livelli, assegnando ad ognuno di essi un diverso valore: 1) quello generico, del Concilio ecumenico in quanto Concilio ecumenico; 2) quello specifico del taglio pastorale; 3) quello dell’appello ad altri Concili; 4) quello delle innovazioni.
Sul piano generico, il Vaticano II ha tutte le carte in regola per esser un autentico Concilio della Chiesa cattolica: il 21° della serie. Ne discende un magistero conciliare, cioè supremo e solenne. La qual cosa di per sé non depone per la dogmaticità ed infallibilità dei suoi asserti; anzi nemmeno la comporta, avendola in partenza allontanata dal proprio orizzonte e, semmai può essere individuata negli asserti che coincidono con l'insegnamento costante della Chiesa [qui]. È questa anche la posizione di mons. Schneider [qui]

Finché non si prenderà atto che gli aspetti ribaltanti dell'eredità conciliare sono i veri nodi da sciogliere, il nostro impegno di riaffermazione della verità secondo il Magistero costante sarà utile per le anime libere, potrà continuare a defluire come una vena aurea cui attinge chi la trova o come un canale carsico che potrà riaffiorare al termine di questa notte oscura, ma oggi non può avere alcuna efficacia su una realtà così deformata e deformante. E la stessa grave solennità di qualunque possibile correzione canonica, rischia di non ottenere i risultati voluti e sperati. A meno che non intervengano fattori o si destino rette volontà al momento impensabili.

Ciò, ripeto, non significa rinnegare il Concilio Vaticano II, ma sottoporne i documenti ad un attento discernimento alla luce del Magistero costante, come Mons. Brunero Gherardini chiedeva, inascoltato, a Benedetto XVI nella Supplica a conclusione della sua meditazione teologica sul Concilio stesso (Brunero Gherardini, Concilio ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Casa Mariana Editrice, 2009 [qui]) che purtroppo è divenuto Il discorso mancato (Brunero Gherardini, Concilio Vaticano II. Il discorso mancato. Lindau, 2011) [qui - qui]. Concludo parafrasando le sue parole dall’introduzione al mio saggio sulla questione liturgica nel quale ho affrontato anche i molteplici aspetti sopra elencati ed altri (Maria Guarini, Il Rito Romano antiquior e il Novus Ordo dal Vaticano II all'epoca dei 'due Papi’, Solfanelli, Seconda Edizione 2017 qui).
“L’amore per la tradizione ci consente sia di volgerci indietro sia di guardare in avanti. Conosciamo l’evolversi del fatto liturgico attraverso tanti secoli di storia ecclesiastica e d’adattamento del culto alla sempre più profonda comprensione del mistero in esso e con esso celebrato. E presi dalla bellezza ineffabile e dalla ricchissima simbologia d'ogni azione liturgica, ne traiamo la conclusione in termini di coerenza cristiana: gettarsi in ginocchio, adorare e ringraziare. (cosa più difficile col nuovo rito).
Se è vero che liturgia e fissismo non vanno d’accordo, è altrettanto vero che dell’autentica liturgia non è un ottimo interprete né chi sa o preferisce voltarsi soltanto all’indietro, né chi, guardando in avanti, non ha occhi se non per l’ancor confuso domani. Se s’è d’accordo su questo, allora si capisce perché né l’archeologismo fine a se stesso, né l’improvvisazione, fosse pur seria, devota ed edificante, potrebbero esser mai vera liturgia”.
Per evitare di trasformare un mirabile Ordo nel trionfo dell’informe.

In molti stiamo constatando gli effetti inaspettati di Traditionis Custodes che – pur empio e spiritualmente dannoso com'è – attraverso lo scalpore e le obiettive contro-deduzioni suscitate, si è rivelato altamente promozionale per la Messa antica più di ogni altra cosa. Le presenze di fedeli, quasi dappertutto dove il rito dei secoli è stato mantenuto, sono aumentate esponenzialmente. Dov'è stato rimosso, si è attivata la ricerca, anche da parte di fedeli non legati ad esso, di luoghi dov'è garantito; dato molto positivo perché notoriamente seguito da serie conversioni o approfondimento della fede vissuta. Dunque, se mai c'è stato un tempo per promuoverlo, oltre che custodirlo, sembra essere il presente. Quasi un' “ancora di salvezza per la tradizione” nella coraggiosa resistenza dei più. 
Se rimaniamo fedeli alla Chiesa perenne, senza colpi di testa e nonostante tutto, il motu proprio – a detta di un lettore – in definitiva rappresenterà una benedizione esattamente come la vendita e la messa in schiavitù del patriarca Giuseppe in Egitto rappresentarono, alla fine, una benedizione e la salvezza per lo stesso suo popolo di Israele.  (Maria Guarini)
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1. MacMahon, divenne già tristemente noto all'epoca del doloroso caso Alfie, quando dichiarò: «Sono grato per le cure mediche e della cappellania che Alfie sta ricevendo», aggiungendo: «Sono consapevole della compassione che caratterizza il popolo italiano a chi si trova nel bisogno, e in questo caso per Alfie. Ma so che i nostri sistemi medici e legali nel Regno Unito si basano anche loro sulla compassione e sulla salvaguardi dei diritti del singolo individuo». E così l’accanimento “tanatologico”, come lo ha definito il cardinale Elio Sgreccia, espresso da medici e legali inglesi nei confronti del piccolo Alfie ha trovato un inatteso sostenitore. A nulla era servita neppure la toccante lettera del padre del piccolo [qui].

2. Infine non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l'avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti (Sacrosanctum Concilium, 23) corsivo mio
3. Citazioni Ratzinger:
  1. “Non si può quindi affatto parlare di un divieto riguardante i messali precedenti e fino a quel momento regolarmente approvati. Ora, invece, la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell’antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano solo essere tragiche. Come era già avvenuto molte volte in precedenza, era del tutto ragionevole e pienamente in linea con le disposizioni del Concilio che si arrivasse a una revisione del messale, soprattutto in considerazione dell’introduzione delle lingue nazionali. Ma in quel momento accadde qualcosa di più: si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì un altro, sia pure con il materiale di cui era fatto l’edificio antico e utilizzando anche i progetti precedenti. Non c’è alcun dubbio che questo nuovo messale comportasse in molte sue parti degli autentici miglioramenti e un reale arricchimento, ma il fatto che esso sia stato presentato come un edificio nuovo, contrapposto a quello che si era formato lungo la storia, che si vietasse quest’ultimo e si facesse in qualche modo apparire la liturgia non più come un processo vitale, ma come un prodotto di erudizione specialistica e di competenza giuridica, ha comportato per noi dei danni estremamente gravi. In questo modo, infatti, si è sviluppata l’impressione che la liturgia sia «fatta», che non sia qualcosa che esiste prima di noi, qualcosa di «donato», ma che dipenda dalle nostre decisioni. Ne segue, di conseguenza, che non si riconosca questa capacità decisionale solo agli specialisti o a un’autorità centrale, ma che, in definitiva, ciascuna «comunità» voglia darsi una propria liturgia. Ma quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità: l’incontro con il mistero, che non è un nostro prodotto, ma la nostra origine e la sorgente della nostra vita”. (J. Ratzinger, La mia vita: ricordi, 1927-1977, p. 110).
  2. “Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. (Benedetto XVI, Lettera ai vescovi che accompagna il Summorum Pontificum” [qui])
4. Vedi: Riflessioni sulla questione dell'infallibilità pontificia e sulle divisioni nella Chiesa - Paolo Pasqualucci [qui]

5. Questa definizione, generica, – di conio tutto Conciliare e dal sapore vetero-testamentario – di “popolo di Dio”, tende a sostituire quella più forte, specifica e identitaria di “corpo mistico di Cristo”.

6. Card. Burke: “... il Santo Padre sta proponendo ciò che ritiene personalmente la volontà di Cristo per la sua Chiesa... La natura personale cioè non magisteriale del documento è evidente anche nel fatto che i riferimenti citati sono principalmente alla relazione finale della sessione del Sinodo dei Vescovi 2015, e agli indirizzi e alle omelie dello stesso papa Francesco. [...] L’Esortazione post-sinodale può essere correttamente interpretata, in quanto documento non magisteriale, solo usando la chiave del Magistero, riportata nel Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 85-87).” [qui - qui]

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