Nella nostra traduzione da Rorate caeli una notizia sulla imminente nomina di “delegati papali” che dovrebbero istruire i superiori degli istituti ex Ecclesia Dei a prendere tutte le misure necessarie per “riconciliare le loro comunità con lo spirito del Concilio”. Questa "lealtà allo spirito del Concilio" traccia una linea di confine all'interno della Chiesa secondo linee politiche con una terminologia più adatta ad una guerra civile che ad una pastorale. Qui l'indice degli articoli sulla Traditionis custodes.
Le ex-comunità Ecclesia Dei si trovano
di fronte a una decisione importante
di fronte a una decisione importante
Michael Charlier (fonte)
Nel mese di giugno siamo stati in grado di dare una descrizione abbastanza accurata dei contenuti di Traditionis custodes [ancor prima della sua pubblicazione], basandoci sulle voci che circolavano.
In quel momento i quesiti sul futuro di quelle che furono gli istituti Ecclesia Dei sono rimasti fondamentalmente insoluti, e non sono poi stati affrontati nemmeno nel motu proprio (evidentemente i suoi stessi autori non avevano ancora dei piani ben precisi in proposito). Ma a quanto sembra, nel frattempo le cose sono cambiate. I “circoli di persone informate”, a cui piace citare fonti indeterminate, si aspettano l’introduzione di misure prima della fine di quest’anno, fatto che dovrebbe “ricondurre” queste comunità sacerdotali “all’unica forma di celebrazione del rito romano”, come il neo-orwellianesimo romano afferma simpaticamente. Si ritiene che la materia sia urgente, perché all’interno del circolo degli autori di TC è prevalsa l’opinione secondo cui l’implementazione di regole per il motu proprio — che erano attese già da tempo — potranno essere formulate e fatte entrare in vigore solo quando il “problema” delle comunità sacerdotali sarà “risolto”, almeno in linea di principio.
Secondo le informazioni in nostro possesso, nessuna legge su questa questione è all’orizzonte. A quanto pare Roma è dell’idea che lo status di “società di diritto pontificio” che gli istituti possiedono aprano possibilità di accesso immediato. A questo scopo, potrebbero essere nominati dei “delegati papali” che, pur non sostituendo il superiore attuale — come succederebbe se venisse nominato un commissario dalla Congregazione per gli Ordini Religiosi —, gli sarebbero comunque superiori. Tali delegati papali dovrebbero istruire i superiori a prendere tutte le misure necessarie per “riconciliare le loro comunità con lo spirito del Concilio” e, come primo passo fondamentale verso il raggiungimento di questo scopo, regolare la celebrazione generale della liturgia riformata. Dovrebbero poi essere sviluppati in collaborazione coi vescovi piani per l’inclusione di quest’ultima nella cura pastorale.
Ma se abbiamo compreso correttamente le nostre fonti, nel caso della celebrazione pubblica della liturgia tradizionale i sacerdoti delle comunità non dovrebbero essere presi in considerazione. Di questo compito — che dovrà essere assunto in nome della misericordia pastorale per un periodo di tempo limitato — dovrebbero farsi carico forze del clero diocesano che abbiano dimostrato la loro lealtà al Concilio. [1] Inoltre, per quanto riguarda le comunità, si è parlato della possibilità di concedere “eccezioni” che permetterebbero almeno durante un periodo di transizione ai sacerdoti — o per lo meno ad alcuni sacerdoti specifici delle comunità — di continuare a celebrare la liturgia secondo il Messale del 1962 all’interno di esse, o perlomeno non pubblicamente. Il tutto in un modo rigidamente regolato e con la condizione che dimostrino un comportamento esemplare in altri ambiti. Sembra proprio che l’amministrazione degli altri sacramenti in modo preconciliare non sia assolutamente prevista.
Non dovrebbe essere compito di “delegati papali” negoziare in alcun modo con le comunità o coi loro superiori sulle decisioni fondamentali relative alla transizione alla Novus Ordo. Difatti, la mancanza di ogni forma di dialogo tra il papa e le comunità stabilite dai suoi predecessori per conservare la liturgia tradizionali, o i loro difensori, come i cardinali Burke, Brandmüller, Zen o Müller, è forse l’elemento che colpisce di più in tutto questo processo, che si svolge in un modo autoritario o addirittura dittatoriale di cui si possono trovare pochissimi esempi persino nella storia dei pontificati di età precedenti. Ma è proprio in questo modo che si riesce a soddisfare tanto il carattere scatenato e dispotico di Francesco come la mancanza di argomenti della teologia e della liturgia postconciliari, che fino ad oggi sono riuscite a sviluppare un certo potere persuasivo solamente in quei luoghi in cui — dietro la spinta di influssi modernisti e secolaristi — si è tentato di emanciparsi dagli elementi centrali degli insegnamenti tradizionali degli apostoli.
Questo esordio apre delle prospettive estremamente spiacevoli per gli sviluppi a corto e a medio termine. C’è da aspettarsi che i “delegati papali” riusciranno a persuadere almeno una parte e sicuramente la maggioranza dei leader di alcune comunità a sottomettersi alla loro comprensione deviata dell’obbedienza. È molto poco probabile che tutti o anche solo la maggioranza dei loro membri li seguiranno in questo senso; le comunità si dissolveranno. E questo potrebbe proprio essere l’obiettivo della strategia papale. Lo scioglimento delle comunità avrà conseguenze ancor più gravi su quelle tradizionali. I fedeli ordinari, seduti sui loro banchi di chiesa, sono più che stufi di osservare come la loro amata Chiesa cattolica viene trasformata tanto da vescovi locali infedeli come da ufficiali della Curia romana ebbri di smanie modernizzatrici in un’agenzia obbediente allo spirito del tempo ecologista e di sinistra. La spaccatura già esistente tra il campo secolarista e universalista e quello dei “semplici cattolici” all’interno della Chiesa si amplierà e coinvolgerà altre persone oltre agli aderenti alla liturgia tradizionale. È facilmente prevedibile che Francesco — come si è egli stesso lasciato sfuggire in un raro momento di chiarezza e di sincerità — passerà alla storia come “il papa che ha diviso la Chiesa” (fonte).
A partire da adesso i difensori della tradizione apostolica non dovrebbero rendergli le cose più facili ostentando atteggiamenti scismatici anche da parte loro. Matteo (Mt 10, 16) ci ha tramandato che il Signore ha raccomandato ai discepoli di essere “prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”. Questo [duplice] monito non è facile da mettere in pratica — ma è esattamente ciò che bisogna fare.
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[1] L’autore ha chiarito cosa voleva dire in questo passo in un’email che mi ha inviato. TC sostiene che tutto il clero che celebra esclusivamente la Messa latina tradizionale non è fedele al “CONCILIO” — equiparando così in modo astuto il Concilio e lo “spirito del Concilio” così come era concepito da Bugnini e dai suoi seguaci, ivi compreso l’Arcivescovo Roche. D’altro canto, TC ritiene anche che la maggior parte del clero diocesano (e ciò è spesso vero in Germania e in Europa centrale) sia radicata in tale spirito e che quindi “celebrerà” la Messa latina tradizionale nel “giusto” spirito — ossia, cercando di utilizzare letture tratte dal lezionario moderno e canzoni contemporanee, ragazze che servono all’altare e tutto il resto, per poter rendere più agevole la transizione al Novus Ordo. [Nota di Peter Kwasniewski]
[Traduzione per Chiesa e post-Concilio di Antonio Marcantonio]
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