La IV Domenica di Pasqua, comunemente chiamata “Domenica del Buon Pastore” a motivo del Vangelo che viene proclamato in questo giorno, è dedicata, nella diocesi di Roma in particolare, alle Sacre Ordinazioni Presbiterali. Una tradizione che ha sempre visto il Romano Pontefice mettere le mani in testa ai “suoi” preti. Sì, perché se qualcuno se ne fosse dimenticato, il Papa è il Vescovo di Roma.
In questi dieci anni di Pontificato, questa litania è stata propinata dal 13 marzo 2013. “E adesso – disse Francesco – incominciamo questo cammino, Vescovo e popolo, questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità a tutte le chiese”. Il rapporto con questa “comunità diocesana”, però, si è logorato ancor prima di essere costruito. Non si tratta, come qualcuno crede, solo delle recenti novità normative ma il modus agendi di Francesco è sempre stato, anche a San Giovanni in Laterano, quello di un elefante in una cristalleria.
I pregiudizi di Francesco
Jorge Mario Bergoglio ha chiaramente raggiunto Roma, anche a marzo del 2013, con il proprio bagaglio personale. Un bagaglio che non era fatto solo di indumenti ed effetti personali ma anche di esperienze e pregiudizi. Quando il gesuita Bergoglio venne nominato Provinciale in Argentina, nel 1973, la Compagnia di Gesù non ne ebbe grande giovamento. Nel 1979 dovettero spedirlo in Germania perché, disse l’olandese Peter Hans Kolvenbach, Bergoglio divise terribilmente quella provincia. Vi erano i gesuiti con lui e quelli contro di lui.
Nell’intervista “El Jesuita” lui stesso raccontò che in Germania, ogni volta che vedeva un aereo in cielo pensava che avrebbe potuto essere lui a bordo e poter ritornare in Argentina. Questo esilio forzato da parte della Compagnia di Gesù ha segnato indelebilmente Francesco e tutti i suoi atti di governo, le numerose invettive contro preti e vescovi, sono chiaramente la non accettazione psicologica di ciò che ha vissuto.
Sono numerose le bugie che Francesco ha pronunciato in questi anni. Un porporato che ha servito a lungo questo Stato ed è stato cacciato da Francesco, ha più volte detto: “Il Papa mi ha detto N bugie, ed un giorno le dirò una ad una”. Purtroppo, però, Bergoglio non le ha dette solo a lui ma in diverse occasioni. In primo luogo, in merito al caso di Marko Ivan Rupnik, Francesco ha riferito alla giornalista Nicole Winfield che non sapeva nulla di questo “affaire”. Francesco ha detto il falso perché ne parlò con diversi presbiteri prima che lo scandalo emergesse e, quando lo abbiamo pubblicato a dicembre, convocò subito un vescovo (anche lui spedito fuori dall’Urbe) a cui disse per filo e per segno ciò che “Rupnik faceva con le suore”. Il vescovo uscì da quel colloquio abbastanza traumatizzato e non erano ancora uscite testimonianze sui giornaletti.
Recentemente, nel libro “El Pastor”, Francesco racconta ciò che ha detto anche nell’ incontro con i gesuiti nella Repubblica Democratica del Congo. Il Papa dice che gli fu chiesto di diventare vescovo per due volte e rifiutò ma alla terza richiesta accettò perché c’era già il parere positivo del Preposito Generale della Compagnia di Gesù. Tale affermazione è falsa. “Il Padre Kolvenbach è stato colui che ha rotto i rapporti fra Bergoglio e la Compagnia di Gesù. Scrisse un parere, quando gli fu detto se poteva essere nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires, dove metteva in evidenza tutte le problematiche che erano emerse durante il suo mandato di provinciale” riferisce un religioso della Compagnia di Gesù di Borgo Santo Spirito.
Non vi era, quindi, alcuna autorizzazione o placet. Anzi, a Borgo Santo Spirito era conservato, fino al 14 marzo 2013, il fascicolo su Jorge Mario Bergoglio. Quel fascicolo, oggi, non c’è più.
Non stupiscono queste parole, soprattutto dopo dieci anni in cui Francesco ha avuto modo di farsi conoscere, sia qui in Vaticano sia al grande pubblico. Anche nel governo della Chiesa Universale, infatti, il Pontefice argentino ha creato due schiere ben distinte: o per lui o contro di lui. Per lui, intendiamo Bergoglio. Perché, come abbiamo sottolineato più volte, il Papa come figura e istituzione è qualcosa che oggi è già superata. Si parla di persone, non di ciò che rappresentano.
Diocesi di Roma: un rapporto conflittuale
Secondo questa esperienza e questo vissuto, Francesco ha avviato, proprio con la sua diocesi, un cammino che è tutt’altro che benevolo. Riferisce di essere vescovo di Roma ma i presbiteri non li incontra, i seminaristi non li vuole neppure vedere da lontano e se interviene lo fa con dei sicari. Addirittura, quando ricevette il Seminario il giorno del suo genetliaco, disse che erano troppi e che non erano tenuti a restare lì ma potevano benissimo trovarsi una ragazza.
Sono finiti i tempi in cui San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si recavano presso il Seminario e si intrattenevano con i seminaristi raccontando anche eventi personali del proprio ministero.
Ora, Francesco, carico del proprio bagaglio di sofferenza e rancore, utilizza i pochi incontri con chierici e vescovi per bacchettarli. La maggior parte delle volte non conosce neppure le realtà che riceve ma se qualcuno del suo “cerchio magico” si lascia andare anche ad una semplice battuta su quella realtà, Bergoglio la prende e la riutilizza appena incontra quelle persone. Senza chiedersi neppure se quel termine o quella battuta non siano una mancanza di carità, un pregiudizio. L’esempio più chiaro è quello delle “bonete” (ribattute come “monete” dalla sala stampa”), dei pizzi e dei merletti. Francesco, ricevendo i presbiteri siculi, disse: “Ma carissimi, ancora i merletti, le bonete…, ma dove siamo? Sessant’anni dopo il Concilio! Un po’ di aggiornamento anche nell’arte liturgica, nella “moda” liturgica!”
Qualche presbitero siciliano si è chiesto: “Ma è mai stato qui?” No, ma non è necessario per Francesco conoscere quella realtà. Tutte le sue attività e le sue parole si fondano sul “sentito dire”. Rivolgendosi alla Curia Romana o ai presbiteri, sempre per bacchettarli, Bergoglio dice: “Il chiacchiericcio è un’arma letale che uccide la fratellanza”, allo stesso tempo, però, ama fare domande su tutto e su tutti ai suoi collaboratori.
Francesco non si chiede se quella persona parla, anch’essa per sentito dire o se ha pregiudizi, lui prende e “incassa”. Poi, agisce. Per questo, spesso, diciamo che agisce “di pancia”. Con la diocesi di Roma ha agito così, a gamba tesa, in più occasioni. I vescovi ausiliari di Roma e lo stesso Vicario, hanno sempre dei micro infarti ogni volta che il Bollettino comunica che Francesco ha ricevuto un membro del Consiglio Episcopale da solo. “In quei colloqui, infatti, il Papa tenta di farti dire qualunque cosa che poi possa utilizzare in futuro. Chiede, si informa sui singoli confratelli e vuole sapere nello specifico”, riferisce un prelato.
La tecnica è chiara: “Divide et impera”, nulla di nuovo.Nessuna ordinazione: volo in Ungheria
Nonostante ad Aprile fossero previste le Sacre Ordinazioni Presbiterali, Francesco non ha comunicato nulla alla sua diocesi e il 27 febbraio in Vicariato e in Seminario è giunta la notizia che il Papa, proprio quel giorno, sarà in Ungheria. La diocesi deve ordinare i suoi futuri presbiteri e il vescovo se ne va in Ungheria. La coerenza non è di casa a Santa Marta. Se si parla di riforme economiche, Bergoglio è in prima fila, sulla cura pastorale c’è ancora molto da fare.
Possibile, poi, che nessuno abbia pensato di informare il Vicariato e il Seminario ma lo si debba venire a sapere dalla Sala Stampa? Francesco ha inviato, proprio qualche giorno fa, il suo pupillo Gianfranco Ghirlanda a spiegare che “il Papa è il Vescovo di Roma, non il Vicario” e ha tenuto banco per un’ora con questa “pantomima” ed ora il “Vescovo di Roma” non ordina i suoi preti ma, addirittura, se ne va in Ungheria?
Il 29 aprile 2023, primi vespri della Domenica del Buon Pastore, quindi, i presbiteri saranno ordinati dal Cardinale Vicario nella Basilica di San Giovanni in Laterano.
Lo sconcerto è molto e i sacerdoti, come abbiamo raccontato anche qui, sono molto arrabbiati. “Se Francesco vuole fare il vescovo di Roma lo faccia sul serio, sporcandosi le mani con i propri preti, entrando nei problemi delle nostre parrocchie. Altrimenti si tratta solo di riflettori e agenzie di stampa che battono parole”, ha detto un sacerdote dell’Urbe. Noi oseremmo dire che è meglio che il Papa faccia il Papa e lasci al suo Vicario la risoluzione dei problemi effettivi della diocesi. Magari un Vicario che sappia davvero prendere decisioni e non qualcuno che protegge solo i suoi padri o figli spirituali.
F. P. - Fonte
20 MARZO.
RispondiEliminaTieniti fortemente e costantemente a Dio unita, consacrandogli tutti i tuoi affetti, tutti i tuoi travagli, tutta te stessa, attendendo con pazienza il ritorno del bel sole, allorquando piacerà allo sposo visitarti con la prova delle aridità, delle desolazioni e dei bui di spirito
Padre Pio (Epist. III, p. 670).