Il proposito del silenzio continua ad esser messo a dura prova, nell’attuale congiuntura ecclesiale. Il raccoglimento, d’altra parte, favorisce la riflessione contemplativa, che a lungo andare diventa una disposizione stabile dell’anima: Meditatio cordis mei in conspectu tuo semper (La meditazione del mio cuore è sempre alla tua presenza; Sal 18, 15). Qualora il cuore, suo malgrado, sia raggiunto da notizie allarmanti, il suo interno scrutare si infiamma: In meditatione mea exardescet ignis (Nella mia meditazione divamperà il fuoco; Sal 38, 4). Proprio l’accrescersi dell’intimità con Dio rende lo sguardo più acuto e le reazioni più ardenti, benché più pacate in quanto non più viziate dalle passioni peccaminose. Pur preferendo di gran lunga astenerci da ogni commento, dunque, non riusciamo proprio a trattenerci dal riportare le vive impressioni suscitate dalla presentazione al clero del nuovo statuto giuridico del Vicariato di Roma [qui - qui], la cui analisi sarà condensata in sei parole-chiave miranti alla chiarezza e all’incisività.
1. Esautoramento (dei vescovi)
I lettori non romani si domanderanno giustamente quale interesse dovrebbe mai rivestire per loro la questione della radicale ristrutturazione dell’organo di governo della diocesi del Papa. A prima vista avrebbero senz’altro ragione, se non fosse che, nelle parole dell’eminentissimo relatore, il cardinal Ghirlanda, la nuova configurazione del Vicariato assume i contorni di un progetto-pilota per tutte le altre diocesi. Infatti, dopo una lunga disquisizione sulla sinodalità [vedi], che ha occupato una buona metà dell’esposizione, il porporato ha affermato in modo perentorio l’esemplarità della diocesi di Roma, la cui curia deve rappresentare un modello universale, nonostante la singolarità dell’avere per capo il Sommo Pastore di tutta la Chiesa. Il fatto è che, secondo la struttura pastorale testé imposta alla Città Eterna, il Cardinale Vicario non gode più di alcun potere né autonomia decisionale, dato che ogni suo atto deve ottenere il consenso del consiglio episcopale e, in ultima istanza, del Papa stesso. Se questo è il destino degli altri vescovi, già di fatto pesantemente limitati nell’esercizio della loro autorità, traete voi le conseguenze per la Chiesa di Cristo.
2. Confusione (tra diritto e morale)
Prima di considerare, a conferma di quanto asserito, gli altri aspetti della rivoluzionaria “riforma” romana, vale la pena accennare a un problema non secondario che, a nostro avviso, vizia alla radice l’approccio alla questione nella sua interezza, ossia l’illegittima tendenza a confondere i piani del diritto e della morale, i quali, pur non essendo completamente separati, vanno tuttavia distinti sia nel metodo che nella sostanza. Tale inclinazione non è nuova, ma risale almeno agli anni Settanta del secolo scorso; nel frattempo, però, essa pare divenuta un habitus mentale e operativo – sebbene abusivo – dei superiori ecclesiastici. Ci riferiamo qui all’abitudine, invalsa in molte curie diocesane, di valutare i sacerdoti non in base a fatti oggettivi e documentabili, bensì a partire da loro presunte disposizioni interiori; detto in termini tecnici, si mescola allegramente il foro esterno con il foro interno, cosa che dà luogo, appunto, a frequenti e inevitabili abusi. Nell’esposizione dell’insigne canonista, analogamente, si confonde il discernimento spirituale, che riguarda lo stato dell’anima, con il discernimento di governo, che verte sulle giuste decisioni da prendere.
3. Soffocamento (della vita ecclesiale)
La moltiplicazione delle istanze consultive, motivata con la necessità di attuare uno stile sinodale nella guida pastorale delle Chiese particolari, poggia su un evidente errore dogmatico, a causa del quale si misconosce la differenza non solo di funzione, ma anche di dignità, esistente tra chi è insignito del sacramento dell’Ordine e chi non lo è. Non tenere dovutamente in conto tale salto ontologico tra i membri della Chiesa docente e quelli della Chiesa discente è sintomo di un accecamento ideologico, quello di chi pretende che le sue idee prevalgano sulla realtà. La recente costituzione apostolica In Ecclesiarum communione accentua ancor più l’obbligo di consultare i cosiddetti organismi di partecipazione, che sono una delle principali cause dell’indebolimento del ruolo episcopale e, il più delle volte, rendono le diocesi semplicemente ingovernabili. A ciò si aggiunga che le spire di tali multiformi piovre burocratiche, oltre a inceppare l’esercizio del governo da parte del vescovo, soffocano la vita cristiana e la pastorale delle parrocchie, piuttosto che favorirle.
4. Accentramento (vaticano)
In realtà, dietro la cortina fumogena del verboso discorrere sulla sinodalità (termine inventato ad hoc pochissimi anni fa, così come la dottrina che sottende), traspare uno sforzo di centralizzazione senza precedenti. A Roma non si potrà più muovere un dito senza il Papa – oppure senza qualche suo uomo di fiducia, dato che non potrà certo presenziare alle riunioni ogni settimana. Anche in altre diocesi, però, l’ingerenza dei dicasteri della Santa Sede sta diventando ogni giorno più pesante, a grave discapito dell’autorità che i vescovi, in qualità di Pastori propri delle loro rispettive diocesi, detengono per diritto divino. La contraddizione, ben lungi dall’essere proscritta, è ormai assurta a modalità normale del pensiero, con la quale si giustifica tutto e il contrario di tutto. A questo punto è perfettamente inutile avanzare obiezioni, dato che manca una base logica comune su cui intavolare un confronto ragionevole. Sembra che l’unico criterio del pensare e dell’agire sia l’affermazione di una tirannica autocrazia, ansiosa unicamente di acquisire e conservare un potere sempre maggiore.
5. Ribaltamento (ecclesiologico)
Questa instaurazione di un regime illegittimo camuffata da un’apparente promozione dei “proletari” e dal loro nominale coinvolgimento nelle decisioni sa tanto di marxismo. Come in ogni rivoluzione comunista che si rispetti, l’ordine naturale è capovolto con l’assunzione di ogni potere da parte di una ghenga di cospiratori che comandano senza vera autorità e senza i necessari requisiti. In molte diocesi, come pure nella conferenza episcopale e perfino nella Curia Romana, spadroneggiano individui di un’ignoranza e incompetenza quanto meno imbarazzanti, come dimostra, fra i tanti, il caso del monastero di Pienza. Proprio tale rovesciamento, d’altronde, evoca l’immagine della piramide rovesciata, che Sua Eminenza avrebbe fatto meglio ad omettere, se non altro per salvare almeno la decenza. A parte il rispetto delle leggi della fisica e del buon senso di chi ascolta, si tratta di un inquietante simbolo massonico di distruzione, vero obiettivo, probabilmente, di tutta questa penosa messinscena: nei deliri gnostici il mondo deve prima annientarsi per poter rinascere, entrando così in una nuova èra. Vogliono forse questo anche per la Chiesa?
6. Controllo (alla cinese)
Per non farsi mancare proprio nulla, il testo pontificio prevede l’istituzione di una commissione di vigilanza che sorvegli tutto l’andamento del Vicariato di Roma e riferisca regolarmente al Papa. Al minimo motivo di disgusto, ogni suo esponente, dal Cardinal Vicario in giù, potrà esser rimosso con un cenno della mano. Quest’ultimo dettaglio fornisce un elemento decisivo al nostro discernimento (ebbene sì, anche noi lo pratichiamo): lo spirito dell’intera operazione è il delirio di onnipotenza, a causa del quale questi mistificatori credono di poter cambiare la Chiesa di Cristo trasformandola in organismo mondano. Proprio questo suggerisce l’ossessiva preoccupazione per gli aspetti meramente sociologici del Corpo Mistico nella totale assenza della prospettiva soprannaturale, l’unica da cui si possa adeguatamente valutare l’essenza e la vita della Chiesa stessa. Quei signori sembrano proprio accecati dalla protervia che il diavolo instillò nell’animo dei Progenitori: Eritis sicut dii (Gen 3, 5). Superfluo ricordare quale fu il risultato della loro acquiescenza, come già la sorte degli angeli ribelli: ogni prometeico tentativo di autodivinizzazione finisce con la cacciata. Per designare l’intervento divino che noi tutti invochiamo ardentemente, basta allora una sola parola-chiave: evacuazione.
Exsurge, Deus, iudica causam tuam. Zelus domus tuae comedit me (Sal 73, 22; 68, 10 / Gv 2, 17).
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