Fioccano su tutti i media, con un bombardamento quotidiano a reti unificate (quando si decideranno a cambiare argomento, affrontando semmai il problema di fondo e tutti gli altri che ci attanagliano?), le accuse di un’opposizione che invoca la responsabilità del governo e le dimissioni di ministri con una frequenza stucchevole instaurando la «logica del ring» per effetto dell'enfatizzazione cinicamente strumentale del tragico naufragio di Crotone che concretizza un vero e proprio sciacallaggio rosso; mentre le principali responsabilità sono degli scafisti, dei Paesi da cui partono i migranti e dell'Europa. E inoltre:
Mattarella, Ammiraglio della Guardia costiera, Bergoglio, card. Zuppi: approccio semplicistico: “Quello a emigrare è un diritto”.
Ratzinger: approccio lucido e profetico: “Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare”. Benedetto XVI rifletteva anche sul fatto che - a certe condizioni - "migrare diventa allora un 'calvario' per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria". E ancora: "Il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono".
Peraltro va ricordato che NON ESISTE il diritto a IMMIGRARE. Uno può emigrare se ha un luogo di destinazione che lo richiede o lo accoglie volentieri, e questo nessuno deve impedirlo. Ma nessuno ha il diritto a entrare clandestinamente in un altro Paese.
Ma quale diritto?
Forse che i nostri migranti di un tempo, quando partivano per le Americhe, e tutti i milioni di europei che migrarono nelle Americhe, esercitavano un diritto? Ma quando mai.
Potevano andare a vivere in un altro Paese, organizzato a Stato, solo perché e finché c'era l'autorizzazione del governo di quel Paese ad andare.
Questo preteso "diritto" è un regalo che ci ha fatto Giovanni XXIII, uno dei più velenosi, a fondamento della c.d. "pastorale del migrante". Si trova definito in due paragrafi dell'Enc. Pacem in terris, del 1963, scritta poco prima della morte.
Sarebbe un "diritto umano", dicono oggi. Ma non può esistere. Uno può migrare in un altro Paese ma solo se le Autorità di quel Paese lo accolgono, a loro insindacabile giudizio, non perché abbia un diritto.
Che significa allora avere un diritto?
Poter disporre di me stesso come voglio e indifferentemente in qualsiasi luogo della terra, come se fossi cittadino del mondo?
No, evidentemente. Nessuno può esser considerato cittadino del mondo come se non fosse nato in una nazione e uno Stato precisi, con una sua storia e mentalità, suoi valori, lingua, religione etc, tutte cose che lo rendono un corpo estraneo in un altro Paese. E non solo estraneo ma anche conflittuale, quando i suoi valori sono opposti e/o ostili a quelli del Paese nel quale vuole andare (vedi i musulmani, che "emigrano" compatti per conquistare il Paese in cui vanno, costringendolo a diventare terra di Islam, perché questo comanda la loro religione).
Questo supposto "diritto ad emigrare" non tiene conto della realtà.
Siamo sempre individui storicamente e socialmente costruiti dai valori, usi e costumi del luogo in cui nasciamo. Non ci può essere riconosciuto il diritto di andare in qualsiasi altro Paese. Solo la facoltà, che può essere accolta o meno dalle autorità competenti del Paese dove vogliamo trasferirci.
(Tanto varrebbe riconoscere a ciascuno il diritto di andare a vivere nella casa di un altro, magari più ricco di lui, e a sue spese, in un'altra parte della città in cui vive. Chi avrebbe il coraggio di ammettere un diritto simile?).
Diritto del soggetto significa poi dovere di un altro soggetto di accogliere la pretesa di cui al diritto del soggetto (qui, di migrare ossia di essere accolto). Nella fattispecie, dovere dello Stato di accogliere, proteggere, far lavorare etc. il "migrante" che eserciti il suo supposto diritto nei confronti delle Autorità di quello Stato.
Ma questo dovere lo Stato ce l'ha solo verso i suoi cittadini, non verso gli stranieri, che sono sempre potenzialmente dei nemici (e non solo potenzialmente, vedi di nuovo i musulmani).
Lo Stato esiste per il bene comune dei suoi cittadini, un popolo storicamente e territorialmente definito, non per l'accoglienza indiscriminata di chiunque si presenti alle frontiere, non invitato. Nessuno Stato può avere un obbligo giuridico in questo senso. Caso mai solo un obbligo morale, ma sempre in relazione alle possibilità di accoglienza, che non può mai essere indiscriminata.
Salus populi suprema lex esto.
Il "popolo" non si estende su tutta la terra, non coincide con il genere umano.
Anche questo nefasto, falso pseudo "diritto di migrare" è un prodotto del Vaticano II.
"Quello a emigrare è un diritto". Nozione falsa.
Chi l'ha stabilito, questo diritto? L'ordinamento internazionale, sulla convinzione che emigrare sia un "diritto umano"? Per prima, la Chiesa "conciliare"?
Ma che vuol dire "diritto umano"?
È una nozione del tutto insostenibile perché non si appoggia su nulla di obbiettivo. Il diritto "umano" sarebbe la pretesa di ciascuno a perseguire la propria felicità nel modo che preferisce. Nell'idea di felicità vanno ricomprese quelle di sicurezza personale, benessere etc.
(Ma è giusta questa pretesa? Se il contenuto di un diritto soggettivo è la pretesa del soggetto ad un comportamento dovuto da parte di altri, questa pretesa deve essere giusta, non può essere una qualsiasi pretesa. E chi ne stabilisce la giustizia?).
In un diritto inteso in questo modo si può far rientrare di tutto, anche l'aborto, che in effetti si vorrebbe considerare un "diritto umano": così un atto criminoso come l'aborto volontario dovrebbe esser considerato un diritto umano, che gli Stati avrebbero l'obbligo di garantire!
L'antico "diritto naturale" era nozione che si fondava sulla natura dell'uomo come costituita dalla Divinità e/o dalla Ragione (nel giusnaturalismo moderno) - comunque diritto che si riteneva fondato su un ordinamento obbiettivo, che nel diritto naturale classico era di origine divina.
Il "diritto umano" invece sarebbe il diritto che l'essere umano in quanto tale ha di realizzare se stesso come meglio intende, in quanto puro soggetto o volontà che si autodetermina, al di fuori di ogni ordinamento, anche naturale. Alla maniera degli Idealisti: è l'autoporsi del Soggetto, un inizio assoluto.
Correlativamente, è scomparsa la nozione classica moderna del diritto positivo come realtà costituita in primis da tre elementi: Stato, territorio, popolo. Al suo posto c'è un complicato ordine-disordine internazionale, che tende a far prevalere i "diritti umani" nel senso appena visto perché rappresenterebbero il punto fermo nel fluttuante mare magnum di organizzazioni statali, private, semiprivate, sovranazionali che si accavallano da ogni parte, in una sorta di hobbesiano stato di natura, dominato dalla guerra di tutti contro tutti.
Bisogna tornare al concetto del diritto naturale, non però quello razionalistico del Sei-Settecento, posto a fondamento dei "diritti dell'uomo e del cittadino" della Rivoluzione Francese. Al concetto del diritto naturale di origine divina, espressione di un ordine trascendente l'umano. PP
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