Sesta parte
Una pratica facile contro l’orgoglio:
La “piccola via dell’infanzia spirituale”
di Don Curzio Nitoglia
Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Quarta parte
Quinta parte
Sesta parte
I – La “piccola via dell’infanzia spirituale” secondo Benedetto XV
L’Allocuzione di Benedetto XV sulla “piccola via dell’infanzia spirituale”
Il 14 agosto del 1921 Benedetto XV tenne un’Allocuzione intitolata Non è spenta.
Il Papa, nella sua Allocuzione, mise in risalto come Suor Teresina fosse arrivata al vertice della Santità, praticando la “piccola via dell’infanzia spirituale” (1).
La “piccola via dell’infanzia spirituale”
Nel prosieguo della sua Allocuzione il Pontefice spiegava cosa fosse “l’infanzia spirituale” (ivi) e in cosa consistesse questo “segreto della Santità” (ivi); poi invitava i fedeli a “mettersi con coraggio in quella via per la quale suor Teresa del Bambino Gesù raggiunse l’eroismo della virtù” (p. 499).
Vediamo la spiegazione della natura della “piccola via dell’infanzia spirituale” dataci dal Papa e quanto sia attuale per i nostri giorni per difendersi dalle insidie dell’amor proprio che, soprattutto nella Modernità, ha imboccato “l’autostrada” dell’orgoglio intellettuale e dell’Io che prende il posto di Dio, che è diametralmente opposta a quella tracciata da Santa Teresina e illustrata da Benedetto XV.
Un esempio concreto ci aiuta a capire la natura della “piccola via”
Il Pontefice inizia dandoci un esempio, per farci capire meglio la natura intima della “infanzia spirituale”: un bambino, che cammina ancora malamente e non parla ancora bene, se è minacciato da uno più forte di lui o se gli appare una bestia, che gli mette paura, “dove corre, affannoso? Dove cerca riparo? Lo trova tra le braccia della sua madre” (ivi).
Lì nelle braccia della sua mamma e stretto al suo seno “depone ogni timore” (ivi) e “guarda coraggioso chi gli è stato motivo di affanno” (ivi).
Questo essere nelle braccia della madre lo rende abbandonato in lei e fiducioso non solo negativamente, 1°) di essere difeso contro ogni attacco del nemico, ma anche, positivamente, 2°) di essere condotto dove meglio si possa trovare.
Dall’esempio concreto e naturale all’ordine spirituale e soprannaturale
In breve, papa Benedetto XV, con questo paragone, traslato ed elevato dalla vita materiale a quella spirituale, vuol far capire ai Cristiani del 1921 e a noi stessi che siamo loro discendenti, che bisogna, non solo abbandonarsi con fiducia nelle braccia di Dio (in una sorta di “infanzia spirituale” che è alla portata di tutti e specialmente dei piccoli (2)); ma inoltre che questo abbandono fiducioso ha un duplice aspetto: 1°) negativamente, esso ci deve rendere sicuri di non essere raggiunti dalle insidie dei nostri nemici (il mondo, la carne e il demonio), e, 2°) positivamente deve assicurarci che arriveremo al porto della nostra salvezza.
La “piccola via” contro il “Trans/umanesimo”
La “piccola via” di Santa Teresina a) esclude quello che è il carattere distintivo della Modernità, ossia l’amor proprio che può arrivare sino al Prometeismo luciferino, “il superbo sentire di sé, la presunzione di raggiungere con mezzi puramente umani un fine soprannaturale, la fallacia di bastare a se stesso” (ivi). E, d’altra parte, essa b) “suppone una Fede viva nell’esistenza di Dio, l’omaggio pratico alla Sua divina Onnipotenza e Misericordia e il ricorso fiducioso alla divina Provvidenza” (ivi).
La “piccola via” è necessaria e non facoltativa per la salvezza dell’Anima nostra
Si capisce, quindi, perché Gesù l’abbia indicata come necessaria per entrare nel Regno dei Cieli. Infatti, un giorno Gesù trasse fuori dalla folla di persone che s’accalcavano attorno a Lui un bambino e disse: “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt., XVIII, 3).
La “piccola via” come rimedio al Fariseismo
Infatti, spiega il Papa, i Giudei del tempo del Messia s’immaginavano il Regno dei Cieli come un Impero terreno e temporale, conquistato da un Messia militante, in cui essi avrebbero avuto il primo posto. Per questo motivo Gesù insegnava loro la dottrina della “infanzia spirituale”, come rimedio al male del Suo tempo: il Fariseismo.
Essa è anche farmaco contro il trans/umanesimo
Ora, ai tempi di Santa Teresina, la Modernità (analogamente al Fariseismo dei tempi di Gesù) presentava l’uomo come il centro e il fine del mondo, lo metteva al posto di Dio; mentre la Santa di Lisieux ci ha insegnato che occorreva rimettere Dio, come Creatore infinito e onnipotente, al centro dell’universo e l’uomo, come creatura, al suo posto di mezzo finito e limitato, il quale è totalmente relativo al fine.
Inoltre Gesù, un altro giorno, tornò su quest’argomento e lo ribadì dicendo: “Il Regno dei Cieli è dei fanciulli. Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non v’entrerà” (Mc., X, 15). Si noti come il Redentore abbia rafforzato notevolmente il concetto e la necessità dell’«infanzia spirituale».
Infatti, Egli ha detto per la seconda volta, innanzitutto in maniera positiva, che 1°) il “Regno dei Cieli è dei fanciulli”; poi, non pago di ciò, ha voluto specificare, in maniera negativa, che 2°) “non vi entrerà chi non si farà simile ad un bambino”. Egli voleva assolutamente che i suoi Apostoli sapessero che “l’infanzia spirituale” fosse, positivamente e negativamente, conditio sine qua non per entrare in Paradiso, ossia per salvarsi l’anima.
La Fiducia e l’Abbandono sono la conclusione pratica della “piccola via”
Come si vede vi è una costanza d’insegnamento nei Vangeli su questo tema che non è casuale. Essa ci sprona pertanto all’abbandono e alla fiduciosa confidenza nella divina Provvidenza. Insomma, è necessario e non facoltativo, che ci convertiamo, diventando da peccatori, orgogliosi, autosufficienti; pii, umili, fiduciosi nell’aiuto divino e nella grazia soprannaturale, senza la quale non possiamo nulla (Giov., XV, 1 ss.).
Il “Cristianesimo adulto” è l’errore dell’uomo di oggi
Così, afferma il Papa nella sua Allocuzione, è necessario che la Modernità idealista e soggettivista abbandoni l’«Io Assoluto» da lei messo al posto di Dio, ritornando al realismo, che conforma il pensiero dell’uomo alla realtà oggettiva ed extra/mentale.
Infatti, l’età moderna, iniziatasi con l’Occamismo e l’Umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’«Io Assoluto», che il Medio Evo aveva messo al suo posto di mezzo creaturale in omaggio a Dio, Fine ultimo e infinito. Per riconquistare questo «Io Assoluto», limitato e creato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’«Io religioso» dall’autorità spirituale. Venne Cartesio (completato poi da Kant e da Hegel) e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’«Io raziocinativo» dalla realtà oggettiva e dalla filosofia tradizionale, ossia dalla filosofia perenne che è l’unica vera. Vennero, infine, Machiavelli e Rousseau e con i loro princìpi sociali rivoluzionari segnarono l’emancipazione dell’«Io politico/sociale» dall’autorità civile. Questa continua, progressiva emancipazione dell’«Io religioso/filosofico/politico» è, poi, culminata nella divinizzazione dell'Io medesimo (Antropocentrismo teologico/modernistico), ossia il Culto dell’Uomo e nella conseguente umanizzazione, o meglio, “distruzione” di Dio (Teocentrismo), ossia il Nichilismo teologico. Si è avuta così l’«uccisione» nicciana di Dio in omaggio al Super/Io.
Santa Teresina, invece, ha insegnato all’uomo moderno il rimedio spirituale a tanto disordine: la “piccola via dell’infanzia spirituale” contro la strada spaziosa e larga, che conduce alla perdizione (Mt., VII, 13).
Il Papa, quindi, la pone (1921) giustamente come modello di fiducia e abbandono filiale a un’umanità, smarrita e disperata, appena uscita dalla tragedia della Prima Guerra Mondiale (1914/1918).
Per la salvezza dell’uomo moderno bisogna tornare
alla “piccola via dell’infanzia spirituale”
Secondo l’insegnamento di Benedetto XV alla scuola di Santa Teresina di Lisieux, sarà questa “piccola via dell’infanzia spirituale” il mezzo più efficace per salvare l’uomo moderno, arrestandolo efficacemente nella sua folle e rovinosa corsa alla conquista dell’«Io Assoluto», e spronandolo non meno efficacemente al sapientissimo ritorno dell’«io creato» a Dio.
Questa corsa folle dopo l’Idealismo e il Niccianesimo ha conosciuto il disfacimento del Sessantotto, ossia la distruzione della mente umana specialmente dei giovani studenti (soprattutto tramite la droga, la moda invereconda, il sesso disordinato e la musica psichedelica) e oggi vorrebbe arrivare mediante la micro/robotica a coartare meccanicamente il nostro pensiero dal didentro del nostro corpo e soprattutto dal nostro povero cervello, che è l’organo con cui, malgrado il disfacimento logico operato dal Sessantotto, ancora riusciamo a ragionare. Il 2019, con il Covid/19, è stato l’anno delle “grandi manovre” per mettere in pratica, anche con la forza dell’Esercito, questa mostruosità che dovrebbe produrre un mondo di tanti piccoli Frankenstein pronti ad adorare il Pachamama al posto di Dio.
La “piccola via” è praticabile dagli innocenti e dagli smarriti
Inoltre, come si può costatare, quest’obbligo di praticare l’infanzia spirituale non riguarda solo coloro che, hanno mantenuto l’innocenza della vita morale, ma anche chi l’avesse persa. Nessuno è senza speranza. Infatti, le parole di Gesù “Se non vi cambierete e non diventerete come pargoli” indicano chiarissimamente il mutamento che devono fare i Suoi discepoli per essere veramente Suoi non solo a parole ma anche con i fatti. Se si deve cambiare e tornare bambini, significa che non si è più fanciulli, altrimenti non si dovrebbe “cambiare”, non si dovrebbe “tornare”, “diventare”. Ecco il lavoro che attende il vero discepolo di Cristo, essere e permanere un bimbo innocente (San Luigi Gonzaga, San Domenico Savio, Santa Maria Goretti …) oppure cambiar vita e ritrovare l’innocenza o la Fede perduta (Santa Maria Maddalena, David, San Pietro, Sant’Agostino …). Siccome ogni uomo è stato pargoletto, ognuno deve lavorare a ridiventare ciò che è stato; se ha cessato di mantenere l’innocenza della fanciullezza spirituale, non si tratta di rinascere fisicamente ma di riacquistare, qualora fossero state perse, le qualità dell’innocenza.
Da Nicodemo a Santa Teresina sempre la stessa rinascita spirituale
Gesù disse a Nicodemo: “Chi non rinasce per l’acqua e lo Spirito Santo non entrerà nel Regno dei Cieli” (Giov., III, 3). Nicodemo intese la frase di Gesù in senso letterale e materiale e non capiva come un uomo potesse tornare nel seno di sua madre, onde nascere fisicamente di nuovo ma, Gesù parlava della rinascita spirituale, operata dalla grazia santificante, che ci fornisce la vita soprannaturale dell’anima, la quale era stata persa col Peccato Originale.
Così è per il precetto di “ridiventare fanciulli”; infatti, esso non va inteso in senso materiale e fisico, ma in senso spirituale e morale, ossia a) rimanere semplici come quando eravamo bambini, oppure b) ridiventare quel che eravamo prima di aver perso l’innocenza della primitiva grazia santificante.
Infatti, spiega il Papa: “Sarebbe ridicolo il pensare alla possibilità di riprendere l’aspetto e la debolezza dell’età infantile, ma non è contro la ragione ritenere in queste parole un ammonimento, rivolto anche agli uomini di età matura, per farli ritornare alla pratica di quelle virtù che costituiscono l’infanzia spirituale” (p. 500).
Esse sono la Fede, la Speranza, la Carità e il fiducioso abbandono sicuri 1°) di non essere raggiunti dal male e 2°) di arrivare in porto, ossia in Paradiso.
Santa Teresina arrivò a quest’unione perfetta con Dio mediante la “piccola via dell’infanzia spirituale”, non con lunghissimi anni di scalate impegnative; infatti, essa morì a ventiquattro anni, dopo “soli” circa dieci anni di vita conventuale, che certamente non furono facili, ma neppure troppo irti di scalate e di “ardue imprese” (ivi).
La vita virtuosa di Suor Teresina di Lisieux
La sua vita in Convento non fu nutrita di “forti studi”, per fortuna non fu la classica “suora intellettuale, liturgista e teologa laureata in qualche Pontificia Università”; altrimenti, avremmo avuto una santa in meno e una “lagna” in più. Tuttavia, essa “ebbe tanta scienza di Cristo che conobbe per sé e seppe additare anche agli altri la via della vera salute spirituale” (ivi).
Inoltre, il Papa si chiede: “Ma donde quella copiosa messe di meriti?” e sùbito risponde. “Dai frutti maturati dal giardino dell’infanzia spirituale; donde quest’ampio corredo di dottrina spirituale? Deriva dai segreti che Dio rivela ai pargoli”.
La “seconda conversione” di Suor Teresina
Anch’essa cambiò; infatti, nata spensierata e gaia il 2 gennaio del 1873 “la sventura toccatale di perdere la madre all’età di 5 anni, impresse nell’anima della piccola Teresa una grande serietà e assennatezza” (p. 501). Certamente anch’essa dovette “cambiarsi e diventare come un pargoletto”.
Fu proprio in quel momento di affanno e contrarietà che ella riprodusse benissimo la prontezza del fanciullo, che caratterizza la “piccola via dell’infanzia spirituale”, di attendersi da Dio l’aiuto per i mali lamentati; di “nascondersi tra le braccia della madre, avendo il presentimento di non poter bastare a se stessa, ricorrendo alla preghiera nel completo abbandono di sé nelle mani di Dio (p. 501).
Quando essa fu ammessa al Carmelo (nel 1888) fu posta sotto la protezione del Bambino Gesù e, così, venne chiamata col nome religioso di Suor Teresa del Bambino Gesù e in quel nome vide “un nuovo stimolo ad abbandonarsi sempre più e sempre meglio nelle mani di Dio. Il Bambinello di Betlemme, appariva ai suoi occhi nelle braccia della Sua Santissima Madre, docile e pronto a farsi portare da Betlemme in Egitto e dall’Egitto a Nazareth. Perciò, si metteva nelle braccia della santa Regola Carmelitana, e si lasciava portare dove l’obbedienza la voleva” (p. 502).
Quindi il Papa ricorda come la fondatrice del Carmelo, santa Teresa d’Avila, ossia “Teresa la Grande” che in religione si chiamava suor Teresa di Gesù, sotto la cui protezione spirituale “la piccola Teresina” di Lisieux si era messa, ebbe un giorno l’apparizione miracolosa del Salvatore, il quale le domandò come si chiamasse. La Santa di Avila gli rispose: “Teresa di Gesù”. Allora il Signore le rispose: “Io sono Gesù di Teresa!”.
Così, osservava Benedetto XV: “Di santa Teresina di Lisieux si poteva ben dire che si chiamava giustamente Teresa del Bambino Gesù, perché il Bambino Gesù era veramente il modello e il maestro di Suor Teresina” (p. 503).
Quando fu nominata, nonostante la sua giovanissima età, Maestra delle Novizie del suo Convento, essa non si lasciò turbare né alterare dalle difficoltà delle differenze dei caratteri delle suore con cui doveva trattare: tutto questo cambiamento non disturbò mai la sua soave tranquillità, né mai si lasciò sfuggire un solo accento d’impazienza. Essa, nei suoi dubbi, faceva appello al Bambino Gesù e da Lui ebbe spesso e sempre la soluzione delle sue difficoltà.
S. Teresina rimedio per i giorni nostri contro le arti del demonio
Se si pone mente, continua il Papa, all’epoca in cui essa visse, si può asserire con certezza che la sua fu una missione per “distruggere le arti del diavolo, il Nemico del genere umano” (Ps., VIII, 3), soprattutto e specialmente con le arti della “piccola via dell’infanzia spirituale” (p. 503).
Benedetto XV continua: “La nostra epoca si mostra troppo inclinata agli infingimenti e alle arti subdole del Nemico di Dio. Non bisogna perciò meravigliarsi che la Carità si sia tanto raffreddata. Dunque, si cambi tenore di vita: agli inganni, alle pompe, alle frodi, alle ipocrisie dei mondani tenga dietro la sincerità del fanciullo, e con questa sincerità alla luce degli esempi della Carmelitana di Lisieux, si propaghi l’abitudine di camminare sempre alla presenza di Dio e di essere sempre pronti a lasciarci portare dalla mano della Divina Provvidenza” (p. 504).
Conclusione
Infine, termina il Papa, ricorriamo con fiducia a santa Teresina, la quale promise che avrebbe passato il suo Paradiso “nel far del bene agli uomini” (p. 504).
Perciò, nelle nostre difficoltà, nelle nostre lotte e nelle nostre angustie andiamo con fiducia dalla piccola Teresa affinché ci aiuti a diventare semplici e umili come piccoli bambini, poiché di essi è il Regno dei Cieli!
II – La “piccola via dell’infanzia spirituale” secondo padre Garrigou-Lagrange
La «piccola via» contiene in potenza l’«unione trasformante»
Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange (Le tre età della vita interiore, 1984, Edizioni Vivere in, Roma/Monopoli, vol. IV, cap. VIII, pp. 105 - 112) spiega che il bambino, specialmente se è stato educato cristianamente, presenta alcune qualità naturali - nonostante i piccoli difetti consustanziali alla natura umana ferita dal peccato originale - tra le quali spiccano la semplicità e la coscienza della propria debolezza.
La semplicità è l’assenza di ogni doppiezza e falsità ipocrita. Nel bimbo non v’è affettazione, egli dice ciò che pensa e domanda ciò che desidera. Inoltre, egli non s’atteggia, non recita e si mostra per quello che è.
La coscienza della propria debolezza significa riconoscere che nulla si può da se stessi, che si dipende in tutto dal papà e dalla mamma. Da questa coscienza nasce l’umiltà che è connaturale al bambino, il quale non è affetto dai deliri di onnipotenza trans/umanista.
Quest’umiltà lo conduce a praticare la Fede, la Speranza e la Carità in maniera semplice e profonda allo stesso tempo. Infatti, il bimbo crede a tutto quanto gli dicono i genitori; poi, ha una grande fiducia in loro e si abbandona con somma e sicura speranza tra le loro braccia; infine, il bambino li ama con tutto il suo cuore perché è ben coscio che a loro deve tutto, nell’essere e nell’agire. Conseguentemente sarà pronto a credere, sperare e amare Dio quando avrà qualche anno in più.
Ebbene, nell’umile coscienza della sua debolezza, nella semplicità e nella pratica delle tre Virtù teologali è contenuta in potenza la più alta vita spirituale: l’unione mistica con Dio. È per questo motivo che Gesù ha detto ai suoi Apostoli: “Se non diventate come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt., XVIII, 3).
Purtroppo, spesso, quando cresce, il fanciullo perde la sua semplicità e la coscienza della sua debolezza; perciò, cerca di fare “l’uomo” prima del tempo, quando è ancora un adolescente.
Allora, inizia ad apparire in lui la doppiezza e anche l’orgoglio. Come gli americanisti egli non curerà più le cosiddette “virtù passive” (silenzio, nascondimento, umiltà, obbedienza, spirito di sacrificio …), neppure quelle teologali, ma si concentrerà sulle virtù attive e soprattutto più naturali che soprannaturali (la forza, il coraggio, l’intraprendenza…), che fanno splendere la sua nascente personalità puramente naturale.
Poi, con il passar degli anni, la dura esperienza della vita e specialmente la vecchiaia verranno a ricordargli ciò che aveva dimenticato: la sua debolezza; allora ricorderà quanto aveva imparato da bambino: “Senza di Me non potete far nulla” (Gv., VIII, 28); così ritroverà la sua semplicità primitiva.
Santa Teresina ci ha ricordato che il vero cristiano deve essere come un bambino nelle braccia di suo Padre; perciò, egli deve essere retto, semplice senza ipocrisia, fingimenti e doppiezza per non cercare di apparire quello che non è.
Il cristiano deve conservare sempre la coscienza della propria debolezza, della sua indigenza e dipendenza da Dio.
Occorre ben distinguere l’infanzia spirituale da quella puramente naturale. San Paolo ci spiega: “Non siate bambini quanto al giudizio della ragione, ma fatevi bambini, riguardo alla malizia; invece per il retto giudizio siate come uomini maturi” (I Cor., XIV, 20). Insomma, il bambino non è un cretino e neppure un boy scout.
Inoltre, se nell’ordine naturale, il bambino più cresce e più deve cavarsela da sé, camminare con le sue gambe; al contrario, nell’ordine soprannaturale, più si cresce e più si capisce che non si può far nulla da se stessi, poiché dipendiamo totalmente da Dio nell’essere e nell’agire e, così, la nostra vita sarà totalmente impregnata di preghiera; ossia, di un parlare con Dio, come un amico parla con il suo amico e gli chiede aiuto come un povero che chiede l’elemosina.
Santa Teresina nella sua autobiografia (Storia di un’anima, 1923) ci ricorda che non dobbiamo mai perderci d’animo, come i piccoli bambini, per i nostri difetti; infatti, i pargoli cadono spesso, ma non si fanno male perché son troppo piccoli.
La “piccola via” è semplicissima, ma conduce molto in alto.
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La coscienza della propria debolezza significa riconoscere che nulla si può da se stessi, che si dipende in tutto dal papà e dalla mamma. Da questa coscienza nasce l’umiltà che è connaturale al bambino, il quale non è affetto dai deliri di onnipotenza trans/umanista.
Quest’umiltà lo conduce a praticare la Fede, la Speranza e la Carità in maniera semplice e profonda allo stesso tempo. Infatti, il bimbo crede a tutto quanto gli dicono i genitori; poi, ha una grande fiducia in loro e si abbandona con somma e sicura speranza tra le loro braccia; infine, il bambino li ama con tutto il suo cuore perché è ben coscio che a loro deve tutto, nell’essere e nell’agire. Conseguentemente sarà pronto a credere, sperare e amare Dio quando avrà qualche anno in più.
Ebbene, nell’umile coscienza della sua debolezza, nella semplicità e nella pratica delle tre Virtù teologali è contenuta in potenza la più alta vita spirituale: l’unione mistica con Dio. È per questo motivo che Gesù ha detto ai suoi Apostoli: “Se non diventate come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt., XVIII, 3).
Purtroppo, spesso, quando cresce, il fanciullo perde la sua semplicità e la coscienza della sua debolezza; perciò, cerca di fare “l’uomo” prima del tempo, quando è ancora un adolescente.
Allora, inizia ad apparire in lui la doppiezza e anche l’orgoglio. Come gli americanisti egli non curerà più le cosiddette “virtù passive” (silenzio, nascondimento, umiltà, obbedienza, spirito di sacrificio …), neppure quelle teologali, ma si concentrerà sulle virtù attive e soprattutto più naturali che soprannaturali (la forza, il coraggio, l’intraprendenza…), che fanno splendere la sua nascente personalità puramente naturale.
Poi, con il passar degli anni, la dura esperienza della vita e specialmente la vecchiaia verranno a ricordargli ciò che aveva dimenticato: la sua debolezza; allora ricorderà quanto aveva imparato da bambino: “Senza di Me non potete far nulla” (Gv., VIII, 28); così ritroverà la sua semplicità primitiva.
Santa Teresina ci ha ricordato che il vero cristiano deve essere come un bambino nelle braccia di suo Padre; perciò, egli deve essere retto, semplice senza ipocrisia, fingimenti e doppiezza per non cercare di apparire quello che non è.
Il cristiano deve conservare sempre la coscienza della propria debolezza, della sua indigenza e dipendenza da Dio.
Occorre ben distinguere l’infanzia spirituale da quella puramente naturale. San Paolo ci spiega: “Non siate bambini quanto al giudizio della ragione, ma fatevi bambini, riguardo alla malizia; invece per il retto giudizio siate come uomini maturi” (I Cor., XIV, 20). Insomma, il bambino non è un cretino e neppure un boy scout.
Inoltre, se nell’ordine naturale, il bambino più cresce e più deve cavarsela da sé, camminare con le sue gambe; al contrario, nell’ordine soprannaturale, più si cresce e più si capisce che non si può far nulla da se stessi, poiché dipendiamo totalmente da Dio nell’essere e nell’agire e, così, la nostra vita sarà totalmente impregnata di preghiera; ossia, di un parlare con Dio, come un amico parla con il suo amico e gli chiede aiuto come un povero che chiede l’elemosina.
Santa Teresina nella sua autobiografia (Storia di un’anima, 1923) ci ricorda che non dobbiamo mai perderci d’animo, come i piccoli bambini, per i nostri difetti; infatti, i pargoli cadono spesso, ma non si fanno male perché son troppo piccoli.
La “piccola via” è semplicissima, ma conduce molto in alto.
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1 - U. BELLOCCHI, a cura di, Tutte le Encicliche e i principali Documenti pontifici emanati dal 1740, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2000, vol. VIII: BENEDETTO XV, 1914/1922, p. 498.
2 - I piccoli sono gli umili ossia coloro i quali, alla luce del buon senso e della sana ragione, riconoscono la limitatezza della “creaturalità” e l’infinità della Divinità; verità evidenti, ma negate per principio dalla filosofia moderna, ispirata all’orgoglio di Lucifero, che volle per primo mettersi al posto di Dio.
2 - I piccoli sono gli umili ossia coloro i quali, alla luce del buon senso e della sana ragione, riconoscono la limitatezza della “creaturalità” e l’infinità della Divinità; verità evidenti, ma negate per principio dalla filosofia moderna, ispirata all’orgoglio di Lucifero, che volle per primo mettersi al posto di Dio.
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