sabato 11 dicembre 2021

La berakah ebraica al posto dell'Offertorio - Lo spostamento del 'mysterium fidei'

Con riferimento alla consistenza dei tagli e delle modifiche che hanno prodotto l'annacquamento quando non addirittura il cambiamento di senso delle formule del Messale riformato di Paolo VI rispetto al Missale Romanum tradizionale dimostrata da Matthew Hazell qui e qui, mi soffermo di seguito su due dei cambiamenti che più dolorosamente hanno adulterato il Rito. Può essere utile rivedere alcune considerazioni di massima sull'Applicazione del Summorum pontificum, che permettono di cogliere, insieme alle peculiarità della Messa antica, le diverse teologia ed ecclesiologia che sottendono i due riti [qui] ed anche le avvisaglie dell'incombere della Traditionis custodes, col focus sui nuovi messali e le nuove norme sulle traduzioni [qui].

Gli oltrepassamenti franchi del NO
perfino rispetto alle prescrizioni conciliari

Basta un solo 'iota' espunto, per deteriorare la bellezza la perfezione la sacralità di quello che Benedetto XVI, quando era ancora cardinale, ha definito "Edificio antico"(1) mirabile e intangibile e che intendeva sdoganare e preservare con il Summorum Pontificum

La Messa riformata di Paolo VI contiene molti tagli e variazioni rispetto al Rito romano antiquior - veri e propri oltrepassamenti franchi anche rispetto alle prescrizioni conciliari - che esaminerò in un altra occasione con una necessaria e più completa visione d'insieme. Anche in relazione all'adulteramento causato dalle traduzioni in base alle nuove norme di conio modernista: il motu proprio Magnum principium (2017) che ha soppiantato Liturgiam Authenticam (2001) [qui] già con le sue pecche. 
Qui mi soffermo sui cambiamenti che più dolorosamente hanno adulterato il Rito: 1. La sostituzione dell'Offertorio sacrificale con la preghiera di benedizione ebraica. 2. La modifica della formula di Consacrazione nel Mysterium fidei (2).

Cito da "Iota Unum di Romano Amerio (ed. Lindau, Torino 2009 pag.169): "Oltrepassamenti franchi sono quelli in cui, tenendo in non cale la lettera del Concilio, si sviluppano le riforme in senso opposto alla volontà legislativa del Concilio. L'esempio più cospicuo rimane quello della universale eliminazione della lingua latina dai riti latini, la quale secondo l'articolo 36 della Costituzione sulla liturgia si doveva conservare nel rito romano e che viceversa fu di fatto proscritta, celebrandosi dappertutto la Messa nelle lingue volgari, sia nella parte didattica sia nella parte sacrificale." 
. l'abolizione del Latino
. lo scempio degli altari
. l'emarginazione del Tabernacolo
. l'accantonamento del gregoriano e della musica liturgica
. la berakà ebraica al posto dell'Offertorio
. il Sacrificio di Cristo sempre più dimenticato e sostituito dalla protestante Cena
Trasformazione dell’Offertorio in berakah ebraica

Colpisce che quanto segue sia detto esplicitamente in un documento come una Esortazione Apostolica Post-Sinodale come la Sacramentus caritatis, n.10:
[…] È in questo contesto che Gesù introduce la novità del suo dono. Nella preghiera di lode, la Berakah, Egli ringrazia il Padre non solo per i grandi eventi della storia passata, ma anche per la propria «esaltazione». Istituendo il sacramento dell'Eucaristia, Gesù anticipa ed implica il Sacrificio della croce e la vittoria della risurrezione.
È molto bello e vero, anche nelle esplicitazioni successive. Ma è stato espunto qualcosa di non secondario, perché prima che un dono a noi e, oltre che sacrificio di lode e ringraziamento, l’Eucaristia è l’unico Sacrificio di espiazione, propiziatorio di Cristo da Lui presentato, offerto al Padre.
Nessun documento conciliare autorizzava a operare tagli selvaggi all’Offertorio, sostituendo all’Hostia (vittima) pura santa e immacolata il “frutto della terra e del nostro lavoro”, trasformando così l’Offerta di Cristo alla quale uniamo la nostra offerta al Padre, in una berakah (preghiera di lode e benedizione) ebraica, che il Signore ha certamente pronunciato, ma che non è il punto focale della sua Azione, del Novum che egli ha introdotto nell’Ultima Cena.

Come dice Romano Amerio:
Poiché la parola consegue all’idea, la loro scomparsa [delle parole, nel nostro caso intere formule -ndr] arguisce scomparsa o quanto meno eclissazione di quei concetti un tempo salienti nel sistema cattolico. (Romano Amerio, Iota Unum. Studio delle variazioni nella Chiesa Cattolica nel secolo XX, ed. Lindau, Torino 2009, pag. 103)
È successo, quindi, che nella Santa Messa cattolica, nel Nuovo Rito, la benedizione ebraica sostituisce quella che nel Rito secondo l'usus antiquior è l’Offerta cristiana.

Questo, come possiamo chiamarlo se non 'discontinuità'? E tanto più grave in quanto tocca il Rito, e lo de-forma, proprio nel preludio e nella preparazione in crescendo al suo momento più sacro e solenne. Ch’è anche il momento più sacro e solenne del Rito e della Storia.

Ricordando che funzione primaria della Chiesa è rendere l’autentico culto a Dio. Sorvolando sugli altri tagli non meno selvaggi operati al Rito Gregoriano: ad esempio tutti i riferimenti a S. Michele Arcangelo, alla Vergine e alla Comunione dei Santi. Sulle modifiche perfino alla formula consacratoria (oltretutto con accenti narrativi, mentre invece non è narrazione, ma è un fatto, Actio di Cristo. Vedi infra). Sorvolando anche su alcune improprie traduzioni del messale latino di Paolo VI.

Sempre dalla Sacramentum caritatis, n.11
«...In questo modo Gesù inserisce il suo novum radicale all'interno dell'antica cena (pasquale) sacrificale ebraica. Quella cena per noi cristiani non è più necessario ripeterla. Come giustamente dicono i Padri, figura transit in veritatem: ciò che annunciava le realtà future ha ora lasciato il posto alla verità stessa. L’antico rito si è compiuto ed è stato superato definitivamente attraverso il dono d'amore del Figlio di Dio incarnato. Il cibo della verità, Cristo immolato per noi, dat ... figuris terminum.» (Breviario Romano, Inno all’Ufficio delle Letture della solennità del Corpus Domini)
E allora, a maggior ragione, che senso ha per noi, la berakah ebraica al posto dell’Offertorio?

Inoltre può ravvisarsi un pericolo teologico-sacramentale nell’assolutizzazione della “preghiera di benedizione” staccata dal suo oggetto (la benedizione è compresa nella formula di Consacrazione ed è un tutt’uno con essa: “benedixit... fregit... dedit” — Benedisse... spezzò... diede), che è quello di fare della Messa un memoriale nel senso di commemorazione o semplice  ricordo. Essa è invece zikkaron, nel senso del memoriale ebraico: rinnovamento, ripetizione, attualizzazione, cioè rende presente nell’hic et nunc di ogni celebrazione la realtà sacramentale del Sacrificio di Cristo, e non solo nella memoria per quanto viva e protesa nel ringraziamento a Dio.
E non si limita al ringraziamento per la Creazione, peraltro presente (con l’aggiunta della Redenzione) nel riconoscimento, che prelude la richiesta, espresso dalla seconda invocazione:
 «Deus, qui humanae substantiae dignitatem mirabiliter condidisti, et mirabilius reformasti: da nobis per hujus aquae et vini mysterium, eius divinitatis esse consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est particeps, Jesus Christus…/O Dio, che in modo mirabile creasti nello splendore della sua dignità la natura umana, e in modo ancor più mirabile le ridonasti nuova vita: per il mistero di quest’acqua e questo vino, concedici di partecipare alla divinità di colui che si è degnato di divenire partecipe della nostra natura umana, Gesù Cristo… ».
Del resto il ringraziamento per la Creazione ormai definitivamente redenta è ben presente anche nella conclusione del Canone:
«Per quem haec omnia, Domine, semper bona crèas, sanctificas, vivificas, benedicis et praestas nobis …/Mediante Lui, o Signore, Tu non cessi dal creare tutti questi beni e li santifichi, doni loro vita e li benedici per farcene dono… ».
Cito Manfred Hauke, in «La Santa Messa, Sacrificio della Nuova Alleanza»:
« Il sacerdote che celebra la Santa Messa in rito antico accoglie una consapevolezza più intensa della centralità del sacrificio. Per illustrare quest’affermazione, vorrei solamente ricordare le preghiere recitate a bassa voce durante l’offertorio sul pane e sul vino. Secondo la valutazione di Robert Spaemann, si tratta qui dell’intervento più radicale del Novus Ordo nella liturgia romana precedente. Nel rito di Paolo VI, le due preghiere si ispirano a delle formule ebraiche di ringraziamento per i pasti, aggiungendo molto discretamente l’idea dell’“offerta”: “lo presentiamo a te, perché diventi per noi “cibo di vita eterna” rispettivamente “bevanda di salvezza”. Nel testo latino, Paolo VI ha insistito di mettere il verbo offerimus (“offriamo”) contro la maggior parte dei liturgisti, che ritenevano di dover rimuovere l’idea del sacrificio dall’offertorio [es. Bugnini -ndR)]. È vero che il sacrificio vero e proprio si svolge durante la consacrazione, ma nei riti eucaristici l’idea del sacrificio viene già anticipata prima, nel rito di san Giovanni Crisostomo persino sin dalla proscomidia, quando si preparano le ostie all’inizio della Divina Liturgia».
Ecco cosa risponde il Vescovo Schneider a chi domanda lumi sull'offertorio antico, che viene tacciato di essere addirittura eteroclito:
«In tutta la storia della liturgia romana, ma anche nelle liturgie orientali, l’Offertorio è sempre stato legato all’attuazione del sacrificio del Golgotha. Non si trattava di preparare la Cena, ma di preparare il sacrificio eucaristico che aveva come frutto il convivio della comunione eucaristica. Ciò che si offre, viene dato per il sacrificio della Croce, si tratta di ciò che possiamo chiamare “un’anticipazione simbolica».
L’Offertorio richiama tutti i sacrifici dell’Antico Testamento, partendo dai grandi offertori di Melchisedech e di Abele. È una crescita continua fino al sacrifico del Golgotha. Questa visione biblica giustifica pienamente l’Offertorio tradizionale senza dimenticare i riti orientali che sono ancora più solenni nella loro anticipazione del Mistero della Croce.
Così come per Sant’Agostino “il Nuovo Testamento era nascosto nel Antico Testamento”, potremmo dire che la Consacrazione è nascosta nell’Offertorio. Quindi, direi proprio il contrario: l’Offertorio tradizionale è tutto tranne che eteroclito, è un puro prodotto della logica biblica della storia della salvezza».

Se durante la Santa Messa, che è il Sacrificio della Croce, l’offerta del Corpo e del Sangue di Gesù e la loro mistica immolazione, avvengono insieme al momento della Consacrazione, è tuttavia necessario che il Sacerdote e i fedeli uniscano l’offerta di se stessi all’unica offerta gradita a Dio, quella di Gesù.
Perciò, nel rito della Messa, esistono momenti precedenti e successivi alla consacrazione nei quali si esprime l’offerta di Gesù al Padre e quella dei cristiani con lui.
L’Offertorio è sacrificale: quello che viene offerto è il Corpo e Sangue di Gesù, non il Pane e il Vino; è un’anticipazione per dare modo a tutti di unirsi all’Offerta di Gesù, è una preparazione che anticipa un crescendo.
L’Offertorio, nella sua primitiva accezione, aveva ben presente il Sacrificio come prolessi, cioè come anticipazione del Sacrificio a venire. Le oblate sono intimamente legate al Sacrificio. L’offertorio fa parte integrante dell’Actio del Canone, nel cuore della Santa Messa.
È innegabile, tuttavia, che la ‘forma’ ordinaria di fatto ha cambiato i connotati alle oblate ed estromesso il loro aspetto sacrificale.
* * *

Modifica della formula di Consacrazione:
il mysterium fidei

Annibale Bugnini in La Riforma Liturgica, C.L.V. Ed. Liturgiche, 1997, pp. 447-448, nell'enumerare le considerazioni che giustificano i cambiamenti da lui apportati al Rito con l'introduzione di nuove preghiere Eucaristiche, riguardo alla modifica della formula di Consacrazione, osserva : «L’aggiunta “Mysterium fidei” nella formula del canone romano per la consacrazione del vino: non è biblica, si trova solo nel canone romano, è di origine e di significato incerti...» 

Purtroppo lui e chi per lui hanno ignorato che il canone romano risale alla tradizione orale di San Pietro che trasmette le parole da lui stesso udite dal Signore. 
Il Canone è il centro della Messa, intesa come un Sacrificio. Secondo il Concilio di Trento, esso risale alla tradizione degli Apostoli ed era sostanzialmente già completo ai tempi di Gregorio Magno (anno 600). La Chiesa Romana non aveva mai avuto altri Canoni. Il passo stesso del “mysterium fidei” nella formula della Consacrazione è un’antica tradizione che Innocenzo III testimonia esplicitamente in una risposta data all’Arcivescovo di Lione. Anche san Tommaso d’Aquino dedica un articolo della sua Summa Teologica alla stessa giustificazione del “mysterium fidei”. Ed il Concilio di Firenze confermò esplicitamente il “mysterium fidei” nella formula della Consacrazione.

La Mediator Dei afferma e conferma che il Sacrificio di Cristo è uno ed unico ed appartiene a Lui solo. E non è un caso che le parole "mysterium fidei" siano pronunciate al momento della Consacrazione del Calice e quindi del Sangue della Nuova ed eterna Alleanza; il Signore ci comanda di fare haec (questo) in sua memoria fino alla fine dei tempi. Anche le parole "mysterium fidei" appartengono a Cristo, che suggella così la sua Azione espiatrice e redentrice e qui non ci resta che adorare e accogliere. Nella Messa riformata, invece, esse vengono messe in bocca all’assemblea sotto forma di annuncio, che tronca in maniera brusca la profonda compenetrazione con quanto accade sull’Altare e il silenzio e la solennità dell'adorazione che vi sarebbero più appropriate.

Praticamente il “mysterium fidei” è stato eliminato dalla formula della Consacrazione e posto subito dopo di essa per suscitare l’acclamazione dei fedeli. Così facendo si evidenzia il nuovo stile 'narrativo' piuttosto che 'attuativo' della Consacrazione che è particolare Actio Christi, come lo è del resto tutta la celebrazione, che ora è diventata azione dell'assemblea. Col paradosso di invocare la venuta del Signore, sia pure quella finale, proprio nel momento in cui Egli si fa realmente Presente, come ha promesso, fino alla fine dei tempi.

Far seguire l'espressione da una frase presa o elaborata da san Paolo, frase di significato escatologico, invocante la venuta finale del Signore sposta il mistero della fede dal momento del sacrificio redentivo di Cristo al momento della sua venuta e cioè,  implicitamente, dalla Croce alla Resurrezione, poiché il Cristo che si attende per la nostra liberazione finale è quello Glorioso, Risorto, non certo il Cristo sofferente che ci procura la salvezza con la sua perfetta obbedienza alla Volontà del Padre.

Questa trasformazione è stata resa possibile anche da altri mutamenti, introdotti sempre in modo sfumato, come il ruolo più ampio attribuito all'assemblea dei fedeli nella celebrazione della Messa. Mentre prima era chiaro (Pio XII) che i fedeli offrivano il sacrificio solamente in voto, spiritualmente, senza sovrapporsi all'azione dell'officiante, che rinnovava in modo incruento quanto avvenuto sul Calvario; ora invece l'assemblea sembra avere un ruolo più ampio, sotto “la presidenza del sacerdote”. La frase di san Pietro, “ora siete popolo di Dio”, perché tratti dalle tenebre del paganesimo, conferente un titolo d'onore ai cristiani, viene intesa malamente come se istituisse un sacerdozio dei fedeli, da porre sullo stesso piano di quello del sacerdote. Senza nulla togliere al sacerdozio battesimale che tuttavia differisce sia in grado che in essenza da quello ordinato e senza dimenticare che il 'popolo di Dio' (termine veterotestamentario) è innanzitutto corpo mistico di Cristo.
Tutto ciò è fatto capire in modo ambiguo ma non per questo meno reale.

La sobria sacralità, insieme alla fedeltà alle solenni formule del Rito antico, oltre a rispettare in pieno lo ius divinum al culto al culto come ce lo ha consegnato il Signore e ci è pervenuto fin dall’epoca apostolica, rende impossibile ogni abuso liturgico e ogni tentazione, sia da parte del Sacerdote che dell'Assemblea, di sostituirsi al vero Protagonista. 
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1. "... Come era già avvenuto molte volte in precedenza, era del tutto ragionevole e pienamente in linea con le disposizioni del Concilio che si arrivasse a una revisione del messale, soprattutto in considerazione dell'introduzione delle lingue nazionali. Ma in quel momento accadde qualcosa di più: si fece a pezzi l'edificio antico e se ne costruì un altro, sia pure con il materiale di cui era fatto l'edificio antico e utilizzando anche i progetti precedenti. Non c'è alcun dubbio che questo nuovo messale comportasse in molte sue parti degli autentici miglioramenti e un reale arricchimento, ma il fatto che esso sia stato presentato come un edificio nuovo, contrapposto a quello che si era formato lungo la storia, che si vietasse quest'ultimo e si facesse in qualche modo apparire la liturgia non più come un processo vitale, ma come un prodotto di erudizione specialistica e di competenza giuridica, ha comportato per noi dei danni estremamente gravi. In questo modo, infatti, si è sviluppata l'impressione che la liturgia sia «fatta», che non sia qualcosa che esiste prima di noi, qualcosa di «donato», ma che dipenda dalle nostre decisioni. Ne segue, di conseguenza, che non si riconosca questa capacità decisionale solo agli specialisti o a un'autorità centrale, ma che, in definitiva, ciascuna «comunità» voglia darsi una propria liturgia. Ma quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità: l'incontro con il mistero, che non è un nostro prodotto, ma la nostra origine e la sorgente della nostra vita". [J. Ratzinger, La mia vita: ricordi, 1927-1977", p. 110.]
2. Il testo scaricabile era stato a suo tempo redatto come sussidio per la formazione nell'ambito dei Centri-Messa Summorum Pontificum o in altri contesti in cui si cerca di sviluppare una pastorale tradizionale.
Nel febbraio 2015 è stata pubblicata, per i tipi di Solfanelli, una edizione rivista e ampliata, aggiornata nel 2017 con gli eventi successivi alle dimissioni di Benedetto XVI. Dunque è diventato un saggio più consistente, adatto come approfondimento per chiunque. Anche i brani qui presentati risultano ampliati.

«La questione liturgica. Il Rito Romano usus antiquior e il Novus Ordo Missae dal Concilio Vaticano II all'epoca dei 'due Papi'»,  Solfanelli 2017, pag.168, Euro 13 -  Si può acquistare qui

1 commento:

  1. Paul VI's new Mass is a constructed Mass, hastily thrown together. Whereas the Traditional Latin Mass is an organically developed liturgy going back to the time of the Apostles. The evolution of the Mass of the Ages took many centuries to take shape.
    Scott Gauley

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