Indice degli articoli sulle pecche e gli effetti dell' Amoris Laetitia.
È nota la deriva della teologia morale, specialmente nell’ultimo decennio, secondo cui si tende ad approvare quella che appare una «morale della situazione» a favore di chi compie «atti intrinsecamente cattivi». Il male della contraccezione e della fecondazione artificiale, ad esempio, viene così depotenziato, apportando giustificazioni al trasgressore. Si tratta del «nuovo paradigma» morale, proposto dal Card. Walter Kasper e confermato da Papa Francesco in Amoris Laetitia.
“Noi non proponiamo affatto – dicono in sostanza i promotori del «nuovo paradigma» [vedi] – una sorta di «morale della situazione», apertamente riprovata tra l’altro da Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor, ma ci limitiamo a constatare la debolezza dell’uomo peccatore e diciamo a fin di bene, in quanto preoccupati della sua (e nostra) salvezza eterna, che la portata morale degli «atti intrinsecamente cattivi» dev’essere valutata non solo sull’oggetto della trasgressione, ma anche sulla disposizione spirituale soggettiva del trasgressore”.
Il discorso sembra filare, anche perché sull’importanza delle disposizioni soggettive si era espresso positivamente anche san Tommaso d’Aquino. Da quello che insegna Tommaso, specialmente nelle questioni 72, 74 e 88 della Summa Theologiae (I-II), il Concilio di Trento afferma ciò che si legge al n. 1857 del Catechismo della Chiesa Cattolica: «È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso».
Tutto questo è giusto, ma c’è un ‘però’. Un grande ‘però’, che viene sistematicamente estromesso dai moralisti del «nuovo paradigma»: la missione di Gesù Cristo e della sua Chiesa è quella di dare consapevolezza (conoscenza, ragione) e orientare il consenso (volontà) del peccatore verso il bene, non verso il male. La natura del peccato dev’essere valutata dal confessore, dopo il delitto e a suffragio del peccatore, non dal predicatore, che deve invece porre l’attenzione solo sulla materia grave ed eccitare, di conseguenza, il pentimento del peccatore.
Se, ad esempio, il confessore rende consapevole l’adultero del peccato d’adulterio, il peccatore non sarà più giustificato in futuro e il peccato veniale – venuta meno una delle condizioni (piena consapevolezza) – sarà di certo mortale. Questo quanto alla ragione. Quanto alla volontà, il penitente ha l’obbligo di «fuggire le occasioni prossime di peccato», veniale e mortale: non di fuggire il peccato, ma le «occasioni». E le occasioni si fuggono con un atto della volontà, che il peccatore pentito può e deve eccitare verso il bene.
Se questo non accade, la grazia non può né manifestarsi, né agire sul penitente. Viene meno, così, la giustificazione e la conseguente salvezza. La questione non è di poco conto, ma è alla base del cosiddetto «discernimento», tanto chiamato in causa, quanto ignorato dei pastori.
È assurdo, inoltre, pensare che da una situazione di peccato non si possa uscire. Tramite la grazia, il penitente trova sempre una strada per abbandonare il male e per fare il bene. La grazia serve proprio a questo: rendere possibile quello che non si comprende o si reputa impossibile.
Il «nuovo paradigma» morale cancella la speranza nella grazia e getta il penitente nella convinzione assurda di ritenersi inadatto alla conversione, per via di un ostacolo che non riesce a superare. Ma non lo può superare proprio perché il neo-moralismo pastorale lo ha convinto che ci sono situazioni di peccato insuperabili. Nel lungo periodo, il penitente è danneggiato dalla disperazione e si rassegna a ritenersi incapace di comprendere Dio e di volere il bene.
Il Decalogo diventa il codice delle «regole» di un Dio sadico, che si è divertito a pretendere qualcosa di non realizzabile dall’uomo. C’è il rischio di una deriva protestante, per cui l’uomo tende sempre più a considerare se stesso irrimediabilmente cattivo e peccatore, volgendo la speranza di salvezza alla sola fede.
Gesù Cristo insegna ben altro: si può e si deve uscire da qualunque situazione di peccato, con l’ausilio necessario della grazia, che proprio Lui è venuto a portare. Non c’è altro motivo che giustifichi l’istituzione dei sacramenti, senza i quali non è possibile la salvezza. Le attenuanti servono all’avvocato, in sede di giudizio, non all’imputato prima del delitto.
Silvio Brachetta - Fonte
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